Continua la nostra nuova rubrica, un lavoro inedito curato per noi dall’artista Alberto Azzara, noto su instagram con il nome @lecosechevedi. A metà strada tra Tondelli e Bukowski, il flusso di coscienza di Alberto ti porterà a riscoprire Bologna e i suoi quartieri, in pieno stile beat generation 2.0. Non solo parole, ma anche immagini. Dopo la Bolognina, San Donato, il centro storico, si continua con Saragozza.
Capitolo 4: (Senti la cassa) Saragozza ti devasta
Ti raggiungo con un mazzo di fiori secchi mentre non ti sei ancora svegliata o forse dormi da allora anche se hai smesso con la bamba e le canzoni di Rino Gaetano che cantavi piacevolmente stonata appena prima della tua colazione con paglia e caffè fatto in quella moka logora che non ho il coraggio di buttare perché quando lo bevi fai facce buffe molto simili a quelle di quando stai per venire. Ricordo certe sere incredibili a disegnare draghi su una tovaglia lunghissima di carta mentre qualcuno suona uno schermo e qualcun altro invecchia parole come fossero papiri usando tè verde al gusto di polvere che si depositata su una tela bianca dove ti ho scritto una poesia intitolata “Niente” come una scritta che lessi su un cassone nel Mitte dove Berlino incontra Saragozza e il suo fascino decadente o come la cosa che dici più spesso e che non voglio dimenticare. Poi faremo una cena romantica pagata dai tuoi schiavi a cui manderemo gli scontrini eccitandoci non poco la notte che viene sugli scogli prendendolo da dietro. Ho scritto su un divano che sei la mia ansia migliore mentre ti specchiavi guardandoti negli occhi sui tuoi tacchi bassi a punta ed è facile capirti quando sono ubriaco in bagni freddi che puzzano di fogna e danno un senso di libertà viscerale. Mentre barcollo mi si incrociano gli occhi e scopro che sei fatta di più prospettive aggrappandomi ai tuoi affanni per sincronizzarmi con la cassa dritta proveniente da Villa Spada come fosse un pellegrinaggio di anime sbandate a cui vorremmo partecipare per senso di aggregazione e in un qualche modo ritrovarci uniti da uno strano senso di spiritualità distorta. Ti rivivo nei locali che puzzano di sigarette bagnate e negli schiaffi in faccia presi con il sorriso quando non capisco perché mi sta piacendo ma me la vivo bene ugualmente perdendomi nelle tue pupille e nei lunghi abbracci illuminati a neon dai supermercati anche se fa troppo freddo per il capitalismo che ci preferisce tristi e soli come forse siamo davvero mentre guardandoti negli occhi stappo una birra gluten free con i denti senza farmi del male. Ti rivivo nei semafori troppo lunghi e in quelli troppo corti e ancora ti rivivo nei posti più lontani da te.
-Alberto Azzara
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