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Il fotografo Simone Risi apre la prima NFT Gallery in un centro storico

24-04-2024

Di Laura Bessega
Foto di Simone Risi

Parlare con Simone Risi è un flusso di coscienza. Le domande non sono mai quelle che avevo preventivato e le risposte seguono un andamento poco lineare ma alla fine dell’intervista i cerchi che apre, come per magia, si chiudono. Fotografo, curatore, art director, apre la prima NFT Gallery in un centro storico. L’inaugurazione di questo singolare atelier, a metà tra arte digitale e tradizionale, che mira a connettere e divulgare la cultura del Web3, si terrà il 18 maggio alle 19 in via Goito 7.

La prima cosa che ti chiedo è: fotografo, art director, founder CEO di Gea Vision, curatore di Web3 e Genetics, chi è Simone Risi?

«Intanto è un curiosone. Un creativo che usa la fotografia come principale mezzo espressivo. Ma sono anche un appassionato di innovazione. E quindi sono un curioso creativo che ha la fotografia come mezzo e la tecnologia come input».

 

Chi è Risi a livello più profondo?

«Io innanzitutto sono anima. Può essere fraintendibile usare questa parola, la si associa spesso alla religione ma io intendo la parte più più profonda e più cosciente di me grazie alla quale faccio quello che faccio».

Ma secondo te gli altri non hanno questa parte?

«Si ma io ho scelto di connettermi a lei da quando sono ragazzino. Per cosciente intendo più evoluta. Il cervello quando nasciamo non sa niente. Deve imparare a mangiare, camminare, parlare mentre l’anima sa già tutto. È in questo punto che il mio progetto Gea Vision e la mia fotografia hanno trovato le loro radici. Credo fermamente che la connessione profonda con noi stessi apra degli accessi ai mezzi creativi. A me permette di avere tanta energia nelle cose che faccio».

 

Questa non si chiama passione?

«No, perché tutti hanno delle passioni ma poi chi è che realmente le segue?».

Puoi raccontarci come sei riuscito ad accedere a questa parte “cosciente” di te? 

Con la meditazione. E non mi riferisco alla preghiera. È una tecnica antica migliaia di anni. Tutti i testi sacri ne parlano. In ambito artistico, per esempio, la mia fotografia è andata di pari passo con il mio spirito. Per tanti anni non sono riuscito a definirmi artista, mi sentivo una persona molto tecnica. E pensavo alla vita in modo basico: nasco, vivo, muoio. E quando muoio tutto è finito. Ero molto lontano dall’arte. In Italia in particolare, si tende ad allontanare l’arte dalla gente. È percepita come una cosa per per pochi. Non devi conoscere tutta la storia dell’arte per capire un quadro. Sto entrando in un tema che voglio sviscerare con Gea Vision.

 

Una delle domande che volevo porti è proprio: “che cos’è per te l’arte?” 

«Nel mio libro cito la ragione per cui in migliaia di anni non abbiamo saputo rispondere a questa questa domanda. Neanch’io darò una risposta definitiva, ma per me l’arte è una manifestazione fisica dello spirito. Ha a che fare col femminile, e non mi riferisco alla donna in senso stretto. Invece il maschile per me è più legato alla parte fisica. Descrivere l’arte è come descrivere l’amore. Puoi trovare metafore, esempi, qualcosa che ci vada vicino ma l’amore non si descrive, si sente».

Nel tuo sito ci sono due progetti fotografici: Natural Awakening, da cui è stato tratto il tuo libro, e Hidden Life. Di che cosa parlano? In entrambi compaiono dei corpi nudi. Cosa rappresenta per te un corpo nudo? 

«Il progetto fotografico Hidden Life nasce quando non era ancora un progetto. Era una scoperta. Sono partito da un approccio molto intimo, quasi nascosto. Volevo cercare, dentro le ragazze, la loro parte più riservata, timida, malinconica. Più privata insomma. Spesso scattavo direttamente a casa loro. Ero alla ricerca del femminile». 

 

Perché stavi cercando il femminile? 

«Non lo sapevo ancora. Non sapevo che stavo cercando il femminile». 

Adesso lo sai?

«Non sapevo niente dell’arte e avevo un approccio molto maschile sulle cose. Volevo controllare tutto con questa forza…che poi è anche positiva e hanno anche le donne. E mi ha permesso di concretizzare i miei progetti. 

A 17 anni ho iniziato a mettermi in discussione. Cercavo delle risposte e sono arrivato alla meditazione. Ho scoperto un universo molto più grande di quello che conoscevo. La costanza è stata fondamentale. Rende liberi perché ti permette di arrivare a fare cose che altrimenti non riusciresti a fare.

Dopo otto anni in cui mi sono perso dando la priorità a cose effimere come i soldi, il sesso, le droghe leggere, mi sono dimenticato di quello che ero stato prima, prima di spaccarmi la testa».

 

Cos’è successo?

«Ero andato a vivere a Barcellona per quattro mesi. Dopo solo una settimana sono caduto mentre facevo skate. Trauma cranico, tre ossa rotte e una pozza di sangue. Sono caduto centinaia di volte, per imparare. Non ricordo neanche come sia successo. In terapia intensiva passavo le giornate a vomitare. È in quel momento che ho ricominciato a meditare.

È successa una cosa incredibile: dovevo stare due settimane in ospedale e dopo soli tre giorni di meditazione mi hanno fatto uscire. Sono ripartito da me. Ho smesso di fumare e bere. Sono tornato in Italia e ho comprato una macchina fotografica».

Riprendiamo il filo. Finora mi hai parlato di Hidden Life. Poi c’è Natural Awakening.

«Natural Awakening è l’unione tra la bellezza nella sua accezione più alta, e per me doveva essere rappresentata dalla donna, e la natura. C’è anche nell’uomo ma è molto diversa».

 

Per i greci anche il corpo maschile rappresentava l’ideale di perfezione e di forza.

«Brava, di forza. Anche la donna però può trasmettere forza. Pensa al parto. È un enorme atto di forza. Ma tutto in lei mi riporta a una connessione con la natura. Perciò ho cercato la sua unione con l’ecosistema naturale. Oggi il contesto in cui viviamo è tutto fuorché naturale.

Dopo la presentazione del mio libro, un amico ha citato la parola risveglio. Mi ha fatto pensare che la mattina io mi sveglio ma non mi risveglio veramente. Da qui l’idea di un risveglio, dell’anima. Ma ci tengo a precisare che non appartengo a nessun gruppo religioso». 

Hidden Life, capitolo 2, Natural Awakening capitolo 1, in ordine di senso ma non di tempo. Quali sono gli altri capitoli e qual’è la storia che stai narrando?

«Ci saranno diversi capitoli. Il prossimo sicuramente toccherà L’Equilibrio tra il  maschile e femminile insieme. E i soggetti delle mie foto saranno delle coppie.

Alla mia mostra una ragazza mi ha chiesto: ma perché un uomo e una donna e non due donne o due uomini?

Perché questo uomo e questa donna sono un simbolo. Non posso scrivere su un quadro, deve parlare l’immagine. Rappresentano il maschile e il femminile. Ma ricordiamoci che ciò non significa che l’uomo è solo maschile e la donna solo femminile anzi. Fotografarli entrambi rappresenta l’unione. Questo non significa che due donne non possono rappresentare la stessa cosa ma sarebbero visivamente meno efficaci.

Dopo L’Equilibrio mi piacerebbe toccare anche il tema del disequilibrio. L’esaltazione massima del maschile e l’esaltazione massima del femminile».

Ma questa storia che stai narrando è anche la tua?

«L’ho vissuta anche su di me ma penso che sia una storia universale. Diciamo che io sono il tramite per questo racconto».

 

Siamo in quella che sarà la nuova sede di Gea Vision. Gea è una dea greca, forza creatrice che incarna la potenza della terra, è il tuo progetto ed è anche uno spazio fisico: perché questo nome?

«Gea Vision è l’unione tra arte e tecnologia. Il nostro logo è la terra intersecata da una V perché V è il simbolo alchemico della terra che viene così idealmente divisa in due parti».

Perché aprire uno spazio fisico con esperti di arte digitale e collezionisti digitali per promuovere l’uso di una tecnologia, la blockchain, che fa del mondo digitale la sua realtà?

«Gea Vision nasce come necessità di portare fisicamente la dimensione del web 3, ovvero un macrosistema della terza generazione del web verso un sistema digitale che punta alla decentralizzazione, alla privacy e a quel ripensamento della gestione economica da cui nasce anche il mondo NFT. Il web 3 prende in sostanza i capisaldi del web 2 come i social network e un sistema centralizzato guidato da pochissime multinazionali e li accartoccia. Gea Vision vuole essere una manifestazione fisica di quest’ecosistema e io ne sarò il curatore. Quando si mostra un’opera NFT non si può prescindere dal contesto che c’è dietro. È come un pezzo hip hop. Non può essere decontestualizzato dal mondo culturale a cui appartiene.

Questo spazio sarà uno studio d’arte e progettazione dal 3d ma ci si  occuperà anche di marketing e consulenze aziendali. Fungerà anche da spazio espositivo e la sala sarà idealmente divisa in due parti: digitale e tradizionale. Ma è una dualità che unisce.

Verranno esposte opere digitali di diversa creazione e fruizione. Se cambia il mezzo creativo, cambia il mezzo espositivo. Un video 3d non può essere esposto su un quadro.

Inoltre questo sarà il primo spazio NFT in un centro storico. Gli altri spazi NFT in Italia sono tutti fuori dal centro».

 

Secondo te, come sta cambiando la fruizione dell’arte in Italia? Nonostante il nostro immenso patrimonio artistico siamo rimasti abbastanza indietro rispetto agli altri paesi?

«Penso che l’Italia abbia un’enorme responsabilità e proprio per questo tenda a rimanere ancorata alla tradizione. Non gliene faccio una colpa, sia chiaro. Tenderei invece a responsabilizzare le piccole gallerie. Si sentono esclusive, non fanno collaborazioni.

Sono loro ad avere il contatto diretto con il pubblico. Non pretendo di mettere uno schermo per la fruizione di un’opera NFT dentro il Colosseo o i Musei Vaticani.

Inoltre non avendo più fiducia nel sistema tradizionale economico e politico in cui viviamo e nelle Istituzioni, nel Web3 ho trovato una plausibile alternativa. Tutto quello di cui abbiamo parlato finora deve nascere dalla strada, dalle persone. Agli albori del Web3, c’erano quattro gatti con degli ideali. Oggi tante persone come me all’interno di questo sistema si supportano per crescere insieme.

Sarà una sfida portare tutto questo a Bologna e rompere un pò gli schemi».

Il Web3 è la terza generazione del Web che tutti stiamo utilizzando quotidianamente, ma funzionerà grazie alla blockchain. La parola d’ordine di questa tecnologia è decentralizzazione. Vuoi parlarcene?

«Partiamo da questo presupposto: viviamo in un ecosistema centralizzato a livello economico, sociale e politico. C’è chi controlla e decide cosa puoi fare. In un sistema decentralizzato non c’è una mano unica che decide, ma una collettività. Si sceglie insieme. Per me è l’alternativa più democratica che abbiamo oggi. 

Per esempio i soldi che hai in banca non sono esattamente tuoi. Ci sono enti che decidono di emetterli quando vogliono. In questi anni inizieranno a introdurre le CBDC, Central Bank digital Currency, euro digitali. Questo porterà a un sistema ancor più centralizzato. I nostri dati, i nostri soldi, la nostra identità saranno sempre più controllati. E potranno essere modificati e bloccati in qualunque momento».

 

E tu sei stato bloccato?

Beh a me hanno chiuso il profilo Instagram.

 

Perché?

«Per le tette (gli scappa un sorriso). Da quando mi hanno chiuso il profilo, ho scoperto Twitter, che è il social usato nel Web3, e sono totalmente esploso. Mediamente raggiungo quasi 1 milione di persone al mese. 

Ma soprattutto Twitter non mi blocca le tette.

Qui lo possiamo dire non siamo su Instagram…».

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