Proviamo ad immaginarci a ricostruire da zero una vita intera, lontani centinaia di chilometri da casa, dopo essere fuggiti da una guerra: disperazione, angoscia e senso di vuoto. Non sono, però, i sentimenti che hanno trovato Michele Monni e Filippo Ortona nei cuori delle famiglie siriane stanziate nella Valle della Bekaa, protagoniste di Border Families. Surviving in the Bekaa Valley. La dignità e l’orgoglio di ricostruire una vita normale hanno prevalso e hanno aiutato queste persone a sopravvivere in una situazione fuori dall’ordinario.
Il documentario, prodotto dalla Ong bolognese GVC, sarà proiettato nel pomeriggio di sabato 13 ottobre dalle 14,30 (insieme a Born in Gambia e The Good Education), nella Sala Mastroianni del Cinema Lumière in occasione del Terra di Tutti Film Festival.
Filippo, videomaker e volontario in Libano con GVC, e Michele, giornalista freelance e coordinatore della comunicazione delle attività di GVC in Libano, mostrano con semplicità le nuove vite di due famiglie siriane nella Valle della Bekaa: quella di Ahmad ed il figlio Adnan e quella della giovane Amina.
Michele sarà presente alla proiezione di sabato pomeriggio e direttamente dal Libano ci ha dato qualche anticipazione su quello che troveremo sul grande schermo.
Michele, chi sono i protagonisti del vostro racconto?
“Filippo ed io abbiamo deciso di focalizzarci su due nuclei familiari: uno è quello composto da Ahmad e la sua famiglia, arrivati da Homs nel 2013. In questo caso chi sostiene economicamente la famiglia è Adnan, il figlio di 15 anni che lavora come meccanico per i libanesi che guadagna quattro dollari al giorno per 10 ore di lavoro. Lo stipendio di Adnan, insieme agli aiuti delle Ong come GVC, permette di vivere una vita dignitosa alla sua famiglia. Il secondo nucleo è composto da Amina, ragazzina di 13 anni, sua madre e un altro fratellino. In questo caso abbiamo cercato di mostrare come una pre-adolescente, a cui è stato rifiutato il diritto all’istruzione, abbia preferito andare a lavorare nei campi: arrivata dopo la fuga dalla Siria, non avendo certificati né diplomi, Amina è stata inserita in una classe con bambini più piccoli di lei. A quel punto, frustrata dalla situazione, la ragazza ha preferito andare a lavorare con la madre nei campi, anche 12 ore al giorno”
Qual è attualmente la situazione dei profughi siriani nella Valle della Bekaa?
“Nel nord della Valle della Beeka, confinante con la Siria, sono stanziati circa trecentomila rifugiati siriani. Rifugiati a cui GVC fornisce campi mobili, latrine e un aiuto quotidiano in una condizione di emergenza. I profughi si ritrovano a stabilirsi su terre di grandi proprietari terrieri libanesi: i proprietari acconsentono allo stanziamento, però in cambio devono lavorare per loro. Si scambia, quindi, una quota di lavoro con la possibilità di permanere e una modica quantità di denaro, che consente di vivere una vita povera ma comunque dignitosa”
Durante la raccolta dei vostri materiali c’è chi ha espresso la volontà di tornare in Siria?
“C’è sempre la voglia di tornare alla propria casa, ma il problema principale del ritorno è uno: tutti i ragazzi giovani che rientrano in Siria vengono costretti al servizio militare, quindi c’è anche molta paura”
Cosa vi ha spinto a raccontare queste storie ai margini?
“Il nostro è un documentario molto semplice, non prettamente giornalistico: non diamo numeri, cifre e statistiche, ma cerchiamo di raccontare quello che succede quotidianamente nel nord della Valle del Beeka. Ciò che ci premeva mostrare è proprio questo: la normalità. La vita quotidiana di persone normali, però inserite in un contesto straordinario a cui anche loro non sono abituate. Bisogna chiarire, però, che non esiste nulla di semplice e anche qui ci sono diversi problemi: uno di questi è che il Libano non riconosce la condizione di rifugiati ai siriani, quindi lo status di queste persone è al limite della legalità. Questo porta ai problemi scolastici per i bambini, al dover lavorare di nascosto. Una vita piena di insidie”
Cosa vi ha colpito di più di queste persone?
“Questo senso di orgoglio che c’è nel portare avanti le loro vite. Nonostante ci siano rifugiati in degenza estrema, la maggior parte conduce una vita dignitosa anche se in condizioni di difficoltà e ristrettezze, grazie all’intervento e al supporto delle organizzazioni internazionali come GVC. Non c’è rassegnazione e disperazione totale, queste persone, nonostante tutte le difficoltà e i disagi del caso, hanno la volontà di mantenere una loro dignità”
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