«Ed è bello attaccare discorso,
con la gente scambiare opinioni
criticare i lavori in corso, beh
quelle sì son soddisfazioni
Sai, la vita, la vita a vent’anni
è una giostra di luci accese
ma poi vedi, anche dopo i sessanta
ti regala sorprese
E siamo qui, siamo qui, siamo qui
siamo sempre fuori
con le braccia incrociate di dietro
a guardare i cantieri
E il mio amore sei te, sei te, sei te
no, scusi, ho visto male
Guardo meglio: era uno dell’ANAS
di Borgo Panigale».
Gli Umarì sbarcano anche a Sanremo con Gli scavi sopra, un tributo di Fiorello che ha spiazzato l’ideatore stesso del termine: Danilo Masotti. Bolognese DOC, DOP, senza OGM, cresciuto nel quartiere San Vitale. Si autodefinisce scrittore, ex influencer, ex blogger, ex musicista, agitatore culturale, consulente web & comunicazione. Io direi anche alimentatore di #dibattiti seriale sulle piattaforme social e creatore incallito di hashtag.
E sì, il plurale di Umarél non è Umarells, ma è Umarì. E me lo sono fatto spiegare da Danilo stesso, andando un po’ più a fondo con il racconto di questo che non è solo un semplice termine, ma un vero e proprio concetto. Perché tutti in realtà possiamo essere Umarell.
Com’è finire a Sanremo senza fare niente?
«Se ci penso alla fine senza muovere un dito ho fatto battibeccare amorevolmente Fiorello e Vasco: non male. Ero sul divano a casa mia e mi sentivo come quelle persone che credono che la televisione stia parlando con loro. Poi ho capito che non ero impazzito quando il cellulare ha iniziato a esplodere di notifiche…».
Prima di cominciare sul serio, mi puoi declinare in tutte le forme il termine “Umarell”? Perché non mi è mica ancora chiaro.
«Allora partiamo dal bolognese puro: Umarél, con l’accento sulla “e” e una “l”. Questo è omarello, omino, ometto, dispregiativo bolognese. Invece il plurale puro è Umarì, in perfetto bolognese.
Il singolare di Masotti invece è senza accento e con la doppia elle: “Umarell”. E la parola ha identificato questa categoria di anziani che osservano i cantieri. Per il plurale sentivo che sarebbe servita una parola in inglese, quindi ho aggiunto questa esse finale: “Umarells”.
Ho quindi iniziato a usare male i termini bolognesi, perché “Umarell” non significa davvero “Umarél”».
Allora facciamo un po’ di storia contemporanea ora. Da dove nasce il tutto?
«La storia degli Umarells nasce casualmente in un freddo febbraio del 2005. Stavo aspettando un cliente al parcheggio del cinema Star City di Rastignano: classico appuntamento alle otto della mattina, a febbraio, con un freddo boia. Non c’è nessuno, tutto ghiacciato. Ci sono io che aspetto e intanto scatto delle foto per il mio blog.
Mentre scatto, passa di lì quello che sarebbe stato il mio primo esemplare di Umarell con cane che mi vede e chiede: “Scusi lei, ma cosa sta fotografando?”. Se avessi detto che stavo facendo foto per internet mi sarei preso del pedofilo probabilmente, quindi scelsi di dire che stavo facendo delle foto per il giornalino della parrocchia. Sentii di essere stato accettato dall’Umarell locale».
Okay, ma come hai fatto a capire che quello fosse un vero Umarell?
«Visto che sono una persona molesta, decisi di metterlo alla prova. Avevo con me una rivista free-press, roba antichissima: ho appallottolato il giornalino in maniera furtiva e l’ho messo dentro a un cestino. Quando siamo partiti ho guardato nello specchio retrovisore e il cerchio si è chiuso: l’Umarell è andato lì a controllare per vedere che non fosse droga.
In quel momento usai per la prima volta il termine raccontando questa esperienza e aprii il blog degli Umarells. Scoperchiai un mondo. Io ovviamente non ho inventato gli Umarells. Ho detto: “Quel tipo di persone sono gli Umarells”. Poi è passato che sono gli anziani con le mani dietro la schiena che rompono i maroni gli operai».
A forza di spingere sei planato direttamente sul vocabolario Zingarelli. Quale hashtag useresti per descrivere l’emozione di finire sul vocabolario?
«Gli hashtag son sempre i soliti: #cimeritiamotutto e #ilgiornodopononsuccedemaiuncazzo.
Scherzi a parte, sono contento e la sensazione che provo è che la parola stia cominciando a circolare in un certo modo e potrebbe avere un riscontro su tutto quello fatto in questi anni. Un po’ tardivo forse, ma almeno qualcosina mi è stata riconosciuta. L’importante è non fare la fine di Van Gogh, perché della fama postuma me ne faccio poco (ride ndr)».
Di recente hai scritto: «Chi crede che siano SOLO i pensionati che guardano i cantieri, non ha capito niente. È un superficiale». Però sul Vocabolario Zingarelli 2021 la definizione è questa: «Pensionato che si aggira, per lo più con le mani dietro la schiena, presso i cantieri di lavoro, controllando, facendo domande, dando suggerimenti o criticando le attività che vi si svolgono». Ecco, cosa non abbiamo capito degli Umarells? E come servirebbe integrare la definizione?
«Quello della Zingarelli è il punto di partenza, l’integrazione si può fare con i miei libri se uno vuole! (ride ndr).Comunque la prima cosa che sfugge è che Umarells si nasce e non si diventa. Ad esempio: Berlusconi e Prodi non sono Umarell e mai lo saranno.
L’Umarell è uno stato d’animo, è controllo del territorio, è qualcosa che va oltre il cantiere. Ci sono tante forme di controllo degli Umarells, difendono il loro territorio con i cartelli… è qualcosa di molto più complesso di quello che può sembrare».
Quanto imbarazzo provi a vedere gli extrabolognesi parlare di “Umarell”? Lo noto solo io lo sforzo a usare il termine?
«Per noi bolognesi ci è venuto facile, perché avevamo confidenza con la parola. Il suono era già in questa regione, anzi, chi è in Emilia magari si incazza perché dice che quelli non sono gli “Umarél” e Masotti non ha inventato nulla di nuovo.
Intanto magari in Lombardia, a Roma, a Napoli si inizia a usare in tutt’altro modo, si appropriano della parola e stravolgono tutto il concetto. Ma è così che evolve la lingua alla fine.
Per me quindi non c’è imbarazzo, anzi mi fa piacere che intanto cominci ad arrivare la parola anche in altre regioni e che muti. Poi magari con un po’ di culo, anche a distanza di anni, scoprono ancora quello che ho scritto».
Ora però mi devi togliere una curiosità e sii sincero. Per tutti tu sei “Quello degli Umarells”. Questa cosa ti ha rotto i maroni?
«Forse ti stupirà, ma ti dico di no. È chiaro che molti si avvicinano e mi parlano di quello, oppure vengo inondato di foto e di video sul telefono. Però insomma, in tutto questo succedono cose e si perde il controllo di tutto: è nata ad esempio “La piazzetta degli Umarells”, una collaborazione con Burger King e i loro spot, potrebbe nascere un film sugli Umarells.
La potenza di Umarells l’ho colta quando alcuni detrattori hanno iniziato a dirmi: “Quella roba lì la sapevo fare anche io”. Ecco, quando senti questa frase puoi essere certo di aver fatto qualcosa di bello. E penso valga in generale vale per molte opere d’arte».
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