Durante un blackout a Kartum, in Sudan, un ragazzo tiene una mano sul petto e recita una poesia, circondato da manifestanti e illuminato dai loro cellulari. Una donna piange un parente, vittima di un Boeing 737 dell’Ethiopian Airlines e in un gesto disperato si getta in faccia una manciata di terra. Un’adolescente armena rifugiata in un campo profughi in Polonia si è appena svegliata da uno stato catatonico dovuto alla sindrome da rassegnazione. Un gruppo di studentesse, divisa azzurra, scarpe e mascherine nere, attraversa la strada tenendosi per mano durante le proteste antigovernative a Hong Kong.
Tanto è successo nel 2019. Tante storie, scontri, ingiustizie ma anche cose belle. E tante persone le hanno raccontate, alcune sedute nel proprio ufficio aspettando che le informazioni arrivassero da internet, altre, come i fotografi, andando sul posto e vivendole, sulla propria pelle, per restituire con poche immagini le sensazioni, gli sguardi, le emozioni di chi li c’era davvero.
“Quando si guarda una foto bisogna sempre pensare a dov’è il fotografo. È lì, dentro quella storia” chiarisce Fulvio Bugani, fotografo professionista e titolare di Foto Image. Insieme a Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, da tre anni porta nel capoluogo emiliano-romagnolo il World Press Photo, il più importante premio di fotogiornalismo internazionale, che seleziona gli scatti più significativi dei progetti di fotoreportagisti provenienti da tutto il mondo.
Ogni anno, ad Amsterdam, hanno luogo i due eventi più importanti legati al premio, la cerimonia di premiazione e il festival. Ma questa volta, a causa dell’emergenza Covid, sono saltati. Non sono invece saltati a Bologna, dove per la terza volta consecutiva il cinema si mescola alle immagini della cronaca e della storia, lasciando spazio per una sera al racconto fotografico. E non ci si stanca di dire che il capoluogo emiliano-romagnolo è l’unico posto al mondo dove le foto vincitrici si possono vedere comodamente seduti sotto le stelle di Piazza Maggiore.
73.996 immagini, 4.282 fotografi, provenienti da 125 paesi. In finale sono arrivati 44 fotografi, provenienti da 24 paesi. Sei gli italiani. Lorenzo Tugnoli, Luca Locatelli, Daniele Volpe, Nicolò Fabio Rosso, Alessio Mamo e Fabio Bucciarelli. Gli ultimi due saranno presenti sul palco della rassegna Sotto le Stelle del Cinema insieme a Fulvio Bugani e Gian Luca Farinelli, questa sera alle 21:30. Lo stesso evento sarà proiettato contemporaneamente al BarcArena per permettere un maggior afflusso di persone, viste le limitazioni dovute al Covid.
Alessio Mamo, siciliano di origine e viaggiatore per vocazione, lavora molto sull’impatto che la guerra ha sulle donne e soprattutto sui minori. Vincitore con una foto che ritrae una madre russa in un campo profughi siriano mentre accarezza il volto del figlio che tiene tra le braccia, racconta la storia di rifugiati sospettati di essere madri e figli di combattenti dell’Isis sfollati nel nord del paese. Questa sera vedremo anche un altro suo reportage, realizzato insieme alla giornalista Marta Bellingreri. Si chiama Middle East War Wounded: pain and resilience ( Feriti di guerra in Medio Oriente: dolore e resilienza) e si concentra su persone che hanno perso i propri arti, pezzi di vita lasciati sul campo. Uno di loro, Amal, 23 anni, iraqueno, dice: “Dopo l’attacco non riuscivo a dormire o a bere dell’acqua. Mio figlio non riusciva neanche a riconoscermi”.
Nel progetto ogni didascalia dà voce al soggetto ritratto.
Una folla di donne col pugno alzato e il fazzoletto rosso al collo, recitano “El violador eres tu”, dall’omonima performance del gruppo teatrale Las Tesis di Valparaiso. “Lo stupratore sei tu” diventata virale nelle piazze di tutto il mondo, si unisce e si mescola alla denuncia in Cile contro polizia, ai soprusi, il sistema economico che inasprisce le disuguaglianze di classe, individualismo, privatizzazione, deregolamentazione. Nessuna tutela. E la gente reagisce, scende in piazza per protestare. Chile despertò, il Cile si è svegliato, è stato uno dei motti più in auge durante le proteste dello scorso anno che Fabio Bucciarelli ha documentato e con cui ha vinto il suo secondo World Press Photo. Ma stasera presenterà anche un’anteprima assoluta, che ci tocca da vicino. Un lavoro inedito, iniziato a metà marzo a Bergamo, in piena zona rossa. Una sola foto esce sui giornali. Un uomo nel letto, il quadro di una madonna, che sembra vegliarlo, appeso al muro sopra la sua testa e, intorno a lui, quattro persone con la mascherina. È la copertina del New York Times, che gli assegna il lavoro di documentare quello che sta succedendo in Italia, dentro e fuori dagli ospedali.
Quelli che invece non potranno presentare il proprio lavoro questa sera, perché ancora impegnati in qualche angolo remoto del pianeta (ma che lasceranno un videomessaggio), sono Luca Locatelli, che vince con un progetto sull’economia circolare e nuovi modi di vivere l’ambiente, Daniele Volpe con il genocidio Ixil in Guatemala, Nicolò Fabio Rosso con la crisi in Venezuela e il conseguente esodo e, qualcuno se lo ricorderà dall’anno scorso, il vincitore per il secondo anno consecutivo, Lorenzo Tugnoli.
“L’Afghanistan è un luogo pieno di significato per me. Ci sono andato la prima volta nel 2009. Ormai sono 10 anni che seguo questo paese. La mia carriera di fotografo è iniziata qui. È stato un posto molto importante, e lo è stato anche il fatto che il World Press Photo abbia riconosciuto il lungo lavoro che ho fatto in questi luoghi. Si chiama appunto The Longest War, la guerra più lunga. E si riferisce al fatto che questa è la guerra più lunga che hanno combattuto gli americani”. Lorenzo è ancora in Afghanistan, ma gli dispiace non essere presente questa sera nella città che l’ha visto passare dagli studi di fisica ai primi scatti. Con il suo lavoro testimonia un paese complesso, teatro di scontri che non sembrano avere una fine e per cui, in questi ultimi anni, i media hanno perso interesse. Con la foto vincitrice ci regala un momento straordinario. Una giornata intera, l’11 dicembre 2019, la trascorre insieme ai talebani. Una manciata di ore per documentare quelli che combattono dall’altra parte della barricata, i terroristi, i cattivi il cui nome è per noi oggi sinonimo di estremismo cieco. Tugnoli ci racconta una storia diversa, ci restituisce l’immagine dell’uomo al di là della guerra, dei racconti della stampa, dei pregiudizi. La foto vincitrice è un ritratto che non ti aspetti. Un talebano seduto in macchina, in una mattinata di dicembre. Un uomo qualunque. Ha un’espressione affaticata e lo sguardo assorto nei propri pensieri. Sta seguendo un convoglio di combattenti, ma non sembra farne parte.