Esistono affinità che non hanno bisogno di molte presentazioni. Sguardi che si riconoscono perché mappano territori simili, siano essi le strade di una città o i confini di un immaginario sonoro. È una dinamica che conosciamo bene a Bologna, fulcro di incontri e città che nutre un underground creativo vivissimo. Abbiamo deciso di inaugurare uno spazio di dialogo nuovo, un artist on artist dove le prospettive si scambiano e le geografie creative si sovrappongono. Crediamo fortemente nel dare la parola a chi anima la città: fare cultura “dal basso” è la missione che guida il nostro sguardo, per dare voce ai creativi che definiscono il presente.
A inaugurare questo scambio è una persona che la città la vive, la osserva e la documenta con uno sguardo unico. Alberto Azzara (@lecosechevedi) lo avete già incontrato su queste pagine: ci ha raccontato la sua “Bologna Underground” e ha mappato per noi i quartieri, trasformando il tessuto urbano in narrazione. È l’anima dietro Attitudine, la sua creatura editoriale indipendente che esplora le sottoculture con un’estetica cruda e necessaria, e che ha appena visto la luce con il Volume 3.
Dall’altra parte del tavolo, reale o metaforico, c’è Miglio, all’anagrafe Alessia Zappamiglio, artista poliedrica di adozione bolognese e nome noto nella scena indie nazionale. Non è un incontro casuale: Alberto e Miglio si conoscono da anni, sono amici, e rappresentano due facce complementari di quell’underground bolognese che nutre la creatività della città, uno attraverso la fotografia e l’editoria, l’altra attraverso la musica. Anche lei è ospite regolare sulle nostre pagine da anni, l’avevamo incontrata in occasione dei suoi “Manifesti immaginari sensibili”, e oggi torna con un lavoro denso, potente, necessario. E’ uscito da pochi giorni, il 24 ottobre, “Traumfabrik Again” per Peroni Dischi (parte del gruppo Hom – House of Music), un disco che è già una dichiarazione d’intenti.
Un lavoro dedicato, come racconta lei stessa, «alle resistenze, ai tumulti interiori e alle crepe del nostro tempo». Nato da due anni di scrittura, Traumfabrik Again accoglie l’incertezza come potere conoscitivo e la trasforma in suono. Il titolo è un riferimento colto e sentito per chi abita Bologna: la Traumfabrik di fine anni ’70, quell’appartamento occupato che fu crocevia della controcultura, ma senza alcuna nostalgia. Miglio ne raccoglie l’eredità e la trasforma in un contenitore personale: una “fabbrica dei sogni” – questo il significato in tedesco – fatta di «acciaio, fumo e glitch», dove la trance individuale diventa una coralità politica e poetica.
Prodotto insieme a Francesco Fantini (attivo tra elettronica sperimentale e già collaboratore di Lorenzo Senni e Warp Records), l’album si muove su un’elettronica viva, tra sintetizzatori analogici e drum machine meccaniche, con gli archi di Rodrigo D’Erasmo in Love mai love e i remix di Plastica e Whitemary. Dieci tracce la cui focus track, Fedeli alla linea, trasforma la fragilità e l’ossessione privata in un atto di sopravvivenza collettivo.
Chi meglio di Alberto Azzara, esploratore di controculture e resistenze urbane, poteva dialogare con Miglio su questi temi? Il risultato è una conversazione che tocca i punti nevralgici del fare musica oggi, tra ispirazione, appartenenza e urgenza creativa.

Alberto Azzara e Miglio Ⓒ Beatrice Belletti
 Cercavano una comparsa per un video musicale, una cantautrice particolare che parlava di qualcosa che sentivo e sento mio. Di provincia, di nostalgia, di non-luoghi, di nebbia, di quel niente che ti spinge la mente oltre, a ricercare il tuo bello. 
Il suo era un brano estivo senza esserlo davvero, con quell’idea e immagine di una riviera romagnola che avevo sentito raccontare prima da Tondelli in “Rimini”, così decisi di portarmi il romanzo sul set per omaggiarlo. E qui l’incontro, la scintilla. 
Parlando con Alessia trovammo da subito un forte amore comune per lo scrittore emiliano Pier Vittorio Tondelli, passammo i momenti di pausa a raccontarci di quanto reciprocamente avesse influenzato i nostri lavori con la sua scrittura diretta, evocativa, intima, scherzosa, emozionale. Della bellezza della provincia dove cerchi di far accadere le cose, di Bologna che sembra Berlino, delle campagne emiliane che ricordano l’America, dei cccp, di Ghirri. Passammo la giornata a ridere, a ricordare, a raccontarci, a creare una connessione artistica che non si è mai più spenta. (Alberto)
AA: Bologna dove l’osteria diventa culto tra musica e portate popolari, dove le canzoni vengono intonate come fossero cori o slogan politici. In un’Emilia capace di proiettarti in posti lontani e al contempo di rimanerti dentro per farsi ritrovare ovunque. Dove, come canti, “entri a Carpi ed esci ad Amsterdam”. Quindi ti chiedo, quanta Emilia c’è nei tuoi testi, e quanto, invece, senti di dovertici in un qualche modo allontanare per cercare nuovi stimoli?
M:“Di Emilia ce nè parecchia ed è per un dato di fatto, perché è in primis il luogo dove vivo ma che ho anche scelto, sono originaria di Brescia ma ormai vivo a Bologna da molti anni. Il paradosso è che l’Emilia ha iniziato ad essere presente nella mia immaginazione ancora prima che ci venissi a vivere, prima la frequentavo abbastanza assiduamente e ne ho subito percepito il fascino che poi ha influito sulla mia scrittura e anche formazione direi.
Oggi penso di esserne ancora fortemente affascinata, sicuramente ancor di più di tutta la sua provincia che è ancora molta da scoprire per me, penso per esempio al fascino che hanno le trattorie emiliane in inverno e non mi abbandona la curiosità di questa quotidianità fatta di cose e paesaggi semplicissimi ma che hanno una carica espressiva enorme. Fuori da qui però c’è molto altro e c’è tanta curiosità di scoprire posti nuovi, paesi differenti e culture distanti dal mio paese. Penso a Berlino, città per me incredibile ma così come il recente Belgio che ho avuto modo di approfondire. L’Emilia rimane e il resto si scopre! “
Traumfabrik come l’appartamento occupato in via Clavature (Bologna) dove giovani artisti come Andrea Pazienza o Freak Antoni, si radunavano in collettivi creativi cercando con ironia e follia di dar voce alle paure, alla rabbia di quei giovani di metà anni settanta pronti a scontrarsi contro uno Stato inetto e retrogrado che cercò di reprimerli. Cos’è per te la “Traumfabrik” e quanto è importante ritornare ad un’idea di collettività in una società capitalista che fa leva sull’infelicità del singolo?
“Traumfabrik in italiano significa “fabbrica dei sogni” che rappresenta per me la possibilità di un’alternativa all’ordinarietà imposta dalla società, dagli standard più diffusi e come hai detto tu legati a una industria sempre più capitalista e poco interessata al benessere del singolo, così le ambizioni, i gusti fuori “focus” o le scelte meno “convenzionali” risultano inopportune. Così il mio auspicio è quello di accogliere visioni alternative, nuove prospettive e reinventarci altri mondi possibili. “

Alberto Azzara e Miglio Ⓒ Beatrice Belletti
Nei tuoi testi aleggia un velo di nostalgia positiva come mantra per andare avanti. Troviamo richiami politici come nel cantautorato degli anni di piombo, quell’elettronica spensierata. Immagini impattanti come distese di cemento, manifestazioni, il fascino decadente della periferia. Contrapposte a scenari più pacati di natura, boschi, campi arati. Dove “le vene sembran fili d’erba”, dove convive una sorta di caos ordinato. In che modo coesiste dentro di te questo dualismo e, lasciandoci prendere dalla nostalgia, quale epoca a livello artistico/personale avesti voluto viverti?
“Sono luoghi, spazi ed esternazioni che da sempre sento vicine, in qualche modo mi danno respiro e immaginazione, per questo infatti il periodo storico in cui mi sarebbe piaciuto vivere è sicuramente quello a cavallo tra gli anni 70/80, senza alcun dubbio, ed è collegato agli interessi culturali/artistici e di movimenti a cui mi sono appassionata nel tempo e che ho trovato affini alla mia persona e alla mia sensibilità.”
L’elettronica che sostiene le tue parole evoca scenari vivi, definiti. Un club underground dentro un ex fabbrica dove si balla per esorcizzare senza pregiudizio, suoni dritti che alleggeriscono un presente che si sta sgretolando ma ricostruendo con nuove coscienze, quel richiamo ai primi sintetizzatori dai suoni psichedelici e acidi, quei rumori delle zone industriali di periferia mixati a quelli ambientali nel mezzo del niente in cui si trovano. Un vuoto essenziale levando il superfluo. A cosa o a chi ti ispiri mentre componi, che scenari cerchi di evocare con la tua musica?
“Diciamo che si tratta di un processo molto stratificato e direi tutt’altro che semplice. Ultimamente parto spesso dai suoni, lavoro al computer, con i sintetizzatori e cerco di sperimentare fino ad arrivare a un impianto compositivo solido che mi soddisfi e che sia in grado poi di sorreggere le parole che voglio metterci sopra e quindi che possa trasportare l’immaginario lirico, che sia in grado di supportare quello che voglio dire.
Le suggestioni poi sono molteplici, a volte arrivano anche dall’esterno, magari sento un suono di drum o di texture di suoni che mi colpiscono e provo a ricreare atmosfere vicine, sono input che ti spingono alla tua creazione personale.”

Alberto Azzara e Miglio Ⓒ Beatrice Belletti
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