Quando l’utile e l’inutile si incontrano e scoprono di non essere poi così diversi.
Vi siete mai sentiti inutili? Inutile vuol dire invisibile? Ma soprattutto: Dove Sostano gli Inutili?
Se lo sono chiesto Pouria Jashn Tirgan, Giacomo Tamburini e Diana Dardi gli attori della compagnia teatrale Cartocci Sonori con i quali abbiamo fatto una chiacchierata per indagare il nuovo progetto dal tema del tutto particolare: l’inutilità. Un lavoro che li vedrà collaborare nei prossimi mesi con un’altra squadra di artisti in qualità di tutor, quella di Kepler-452. Quindi, oltre a Cartocci Sonori, abbiamo incontrato anche Enrico Baraldi regista, autore e attore di Kepler.
Il progetto si concretizzerà in una serie di interviste (vis-à-vis, telefoniche e tramite social) per effettuare un’analisi della situazione attuale attraverso questo concetto, coinvolgendo in modo particolare il quartiere San Donato. Se in questo momento la parola d’ordine per gli artisti è “malleabilità” poiché la pandemia li obbliga a reinventarsi continuamente, quel che è certo è che l’obiettivo ultimo sarà rendere visibile in modo dirompente ciò che non vogliamo guardare, in una vera e propria celebrazione dell’inutilità. Per farsi intervistare bisogna fare richiesta su Facebook, Instagram, oppure scrivendo a cartoccisonori@gmail.com.
Prima di raccontarvelo però, mettiamo insieme i tasselli del puzzle: quello di Cartocci Sonori è uno dei sei progetti vincitori del “Concorso di idee” rivolto a ragazze e ragazzi tra gli 11 e i 25 anni a cui sono state chieste delle idee creative per immaginare la città del futuro, lanciato da Così sarà! La città che vogliamo, rassegna di laboratori, incontri, performance e spettacoli che si inserisce all’interno delle Scuole di Quartiere nel più ampio progetto europeo PON Metro. Ciascuno dei vincitori è affiancato da una delle sei realtà teatrali che fanno parte di Così Sarà, per trasformare un’idea in un progetto concreto.
Dove Sostano gli Inutili, ambisce a tessere legami di ascolto e relazione in zone di Bologna particolarmente fragili, là dove, mi spiega Enrico: «si può mettere in relazione il concetto di inutilità con quello di invisibilità». Il ruolo di Kepler-452 in tutto questo sarà quello di vero e proprio tutor, coadiuvando sia la parte organizzativa sia quella artistica, in una contaminazione di idee che aiuterà Cartocci Sonori a realizzare i propri, tutt’altro che inutili, intenti.
Ma cosa spinge tre attori di 25 anni a indagare un tema, quello dell’inutilità, tanto a fondo? Me lo spiega Pouria, raccontandomi che l’idea gli è piovuta addosso in questo anno di pandemia, in cui si è accentuata una dinamica che i ragazzi della loro età vivevano già prima, quella dell’insicurezza rispetto alle traiettorie di vita: «noi siamo giovani che hanno da poco concluso la loro formazione, siamo attori e siamo totalmente precari all’interno di un sistema lavorativo che era già instabile prima del Covid. Le opportunità lavorative nel contesto socioeconomico in cui viviamo fanno percepire in modo molto forte il sentimento di inutilità».
Un sentimento di improduttività, dunque, che li ha spinti a chiedersi «se il concetto di utilità/ inutilità sia davvero legato al rendimento economico o se invece esista un senso di produttività umana e sociale, capace di creare utile in termini di aggregazione sociale» – continua Pouria. In questo quadro, mi spiegano, l’arte e il teatro diventano strumenti di indagine ma anche «mezzi per rendere visibile ciò che visibile lo è già», rifacendosi al filosofo G. Agamben.
Lo smarrimento provocato dalla pandemia ha scoperchiato, secondo Cartocci Sonori, la dualità tra ciò che è vano e ciò che non lo è. Da lì, precisa Diana: «la spinta investigativa a sondare dov’è il confine tra utile e inutile».
Un confine che si dilata e si restringe continuamente, poiché mi spiegano: «stanno emergendo concezioni molto diverse dell’inutilità. È qualcosa che non ha necessariamente a che fare con un aspetto positivo o negativo, è un’esistenza dai contorni sfumati, variabili, ed è per questo che ci interessa scoprirla».
Diventa così una scommessa quella di raccontare l’inutile, perché «non c’è per forza bisogno di qualcosa di negativo per costruire bellezza», mi ammonisce Giacomo.
Uno degli elementi di questo progetto si lega ai luoghi di attesa, quelli nei quali ci si sente propensi allo scambio, al dialogo con lo sconosciuto. A questo scopo, il quartiere San Donato nel quale si concentrano le azioni della compagnia, diviene prezioso: «ci piaceva l’idea di conoscere gli abitanti del quartiere “cogliendoli in flagrante” nelle situazioni apparentemente inutili, come ad esempio in coda».
A questo punto tutto torna, e comprendo la volontà di questi ragazzi di restituire un valore all’attesa. La “sosta degli inutili” non è solo un mezzo per comprendere la realtà, ma un modo per celebrare l’inutilità in un periodo in cui siamo invitati ad accantonare tutto ciò che, se guardato con la lente della produttività economica, semplicemente non serve.
«Il paradosso del rapporto tra inutilità e invisibilità – incalza Enrico – è che guardando le figure che nel tessuto sociale vengono indicate come inutili, si scopre che poi in realtà sono figure invisibili», si pensi ai senzatetto, anonime comparse sui nostri marciapiedi.
Il motore di questo progetto, è combattere l’automatica azione percettiva di eliminare dal nostro campo visivo tutto ciò che non riusciamo a comprendere, e l’inutilità, precisano, è difficile da digerire nella società in cui viviamo: «è un concetto che ci spaventa molto e che rifuggiamo dentro e fuori di noi. La pandemia ce lo sta mostrando».
Se tutto può essere stimolo per indagare un tema così ricco di sfaccettature, sono curiosa di sapere cosa è emerso dal takeover che Cartocci Sonori ha realizzato in questi giorni. Gli chiedo qualche aneddoto rispetto alle interviste che hanno effettuato e, ancora una volta, il tema dell’inutilità sembra tutto meno che inutile.
«Parlavamo con una coppia di pensionati e lei si chiedeva se il virus sia stato in qualche modo utile oppure no. Lui sosteneva che il virus è servito a far riflettere le persone, ma lei ha risposto: “però ci sono tante cose che fanno riflettere senza dover vivere una crisi del genere”».
Questo è un punto aperto, commenta Diana, poiché ci sono casi che fanno prendere posizione rispetto a ciò che realmente serve, ma ciò che conta è prestare attenzione sempre, senza aspettare di essere investiti dal cambiamento per rivalutare ciò che ci circonda.
Che l’inutilità sia un sentimento del tutto soggettivo ormai è chiaro: «una ragazza ha detto che per lei le cose più inutili sono in realtà quelle più positive che fa per sé stessa, come leggere, guardare film, passeggiare».
Mi raccontano poi di essere rimasti senza parole quando alla domanda «Qual è la cosa più inutile che hai fatto oggi?» qualcuno ha risposto «alzarmi». Una testimonianza dal sapore amaro, questa, che ancora una volta conferma quanto sia utile parlare dell’inutile per guardare lo specchio di una società che vorrebbe liquidare l’argomento con sbrigativa ironia.
Un progetto che indaga le molte facce della condizione umana, spesso rovesciando le nostre stesse convinzioni, o regalandoci inaspettati momenti proustiani.
Mi fa un esempio Giacomo: «alla domanda relativa a “un ricordo inutile”, un ragazzo mi ha detto di aver sempre ritenuto inutili i gusci dei pistacchi. Fino a quando gli è capitato di ricordarsi di un pomeriggio in cui con un amico è rimasto ore a sgusciare pistacchi per lanciarli in un tombino. Alla fine, grazie a quegli involucri gli è tornata in mente la chiacchierata interminabile con quell’amico e quindi ha affermato che “sì, anche i gusci vuoti dei pistacchi sono utili”».
Pouria, Giacomo e Diana cercheranno di capire nei prossimi mesi (il progetto si concluderà a giugno) cos’è davvero l’inutilità e quale peso occupa nella vita di ciascuno di noi. Quel che è certo è che bisogna prestare attenzione anche a ciò che non è visibile adesso, poiché questo progetto sta dimostrando che anche le cose che vengono posate momentaneamente magari un giorno torneranno a bussare alla nostra testa, dimostranti tutt’altro che vane.
Mi è rimasta però un’ultima domanda per Enrico, che in qualità di tutor con Kepler-452 aiuterà i ragazzi a raggiungere l’obiettivo:
«“Come sarà la città” dopo questo progetto?»
«Ci sono alcuni luoghi nella città, ad esempio il quartiere San Donato, che offrono enormi vuoti. Questi non sono soltanto palcoscenici, ma occasione per lasciare segni nella memoria di quegli stessi luoghi. Penso che grazie a passaggi come quello di Dove Sostano gli Inutili sarà una città con una memoria in più, e creare memoria è una delle cose che l’arte può fare».
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