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“Prima o poi saremo spinti a incontrare l’altro e superare la paura”. Intervista alla psicologa Rosanna De Sanctis

02-02-2021

Di Martina Fabiani

La nostra esistenza comincia all’interno di un abbraccio, quello di un corpo caldo. La nostra esistenza comincia già a contatto con l’altro: il genitore che ci aspetta, ci culla, ci accarezza, ci ascolta e ci parla.

Basta questa immagine per capire come, sin dall’origine, vi sia una sintonizzazione corporea, oltre che cerebrale, con l’altro. Ecco, noi esseri umani non siamo solo pensiero ed emozione, siamo anche corpo. Da questo primo filo con un corpo, nasce e si sviluppa la nostra capacità di stare in relazione con gli altri, la nostra empatia corporea. A questo primo filo se ne intrecciano degli altri fino a formare il nostro ordito, la nostra storia relazionale.

Secondo la Biosistemica la persona è un sistema complesso composto da diverse dimensioni costantemente interconnesse. Ogni sistema complesso attraversa, per sua natura, esperienze positive e momenti che, invece, destabilizzano o rompono gli equilibri.

Lo scorso marzo i nostri sistemi complessi (che poi siamo noi) hanno subito una battuta d’arresto. Lo scorso marzo un trauma collettivo ha aperto una parentesi molto lunga all’interno delle nostre storie relazionali, in primis in quella con noi stessi.

Una parentesi ancora aperta che ha generato molte paure, tante domande.

Siamo un sistema complesso, dicevo prima. Quindi come si fa quando sentiamo che quelle dimensioni di cui parlavamo prima non sono più così interconnesse? Come si fa a capire cosa vogliono comunicarci corpo e mente mentre tutto intorno sta cambiando? Come facciamo a stare lontano dagli altri?

Come si fa a guardare e non toccare?

Dentro questa domanda ci sono tutte le altre. È una domanda complessa e per questo ne ho voluto parlare con chi la complessità la analizza ogni giorno: Rosanna De Sanctis, psicologa, libera professionista, didatta presso la Società Italiana di Biosistemica di Bologna, società che lo scorso 22 dicembre ha organizzato il convegno online dal titolo Body and Psychotherapy at the time of Pandemic. Insieme allo psicoterapeuta Maurizio Stupiggia, ha presieduto e moderato questo evento che ha riunto quindici esperti di psicoterapia di fama mondiale per discutere del legame tra pandemia, psicoterapia e corpo.

“Voglio fare una premessa a caldo: le parole hanno un significato importante e lo abbiamo ribadito anche al convegno. Per questo parlerei di trauma collettivo invece che di pandemia, di distanza e allontanamento fisico anziché sociale e, ancora, di protezione al posto di isolamento. È stata proprio l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandare l’uso di alcune espressioni per ribadire la centralità del contatto tra le persone e del loro benessere psicologico”.

Inizia così la chiacchierata tra me e Rosanna, una donna dai toni pacati ma risoluti, che mi pare credere molto in quello che dice e in quello che fa.

 

Lei ha recentemente dichiarato che “lo stress da pandemia, a causa di un prolungato affaticamento e un inconsueto mix di tensioni che non solo colpisce il presente ma interrompe il futuro, è una condizione completamente nuova che sta diventando nota nella nostra pratica clinica”In che modo, quindi, questo trauma collettivo affetta il nostro futuro, quali sono state queste tensioni e come si sono riversate su corpo e mente?

“La pandemia ci ha insegnato a guardare il presente e a cercare di fare progetti a breve termine. Dobbiamo guardare a oggi perché solo oggi possiamo affrontare questo malessere.

Sicuramente si è riscontrato un aumento di stati d’ansia data la lunga esposizione alla paura e al distanziamento fisico. Siamo infatti passati da una fase, quella iniziale della pandemia, di coesione sociale e forte solidarietà a un’altra di stanchezza e registrazione di stati emotivi complessi.

Al convegno, però, abbiamo fatto leva sulla nostra capacità di resilienza. È vero che c’è una distanza da rispettare e uno schermo facciale da indossare, ma la comunicazione non avviene solo tramite un canale verbale, ci sono molteplici altri aspetti che possono accompagnare l’espressione di un’emozione. Nel guardare e non toccare dobbiamo sviluppare quello che per fortuna tutti possiamo utilizzare, ovvero i neuroni specchio e l’autoregolazione.

 

Spieghiamo che cos’è uno stato d’ansia.

“È quello stato per il quale mancano progetti e si fa fatica a farne di nuovi, si avverte una sensazione di malinconia e perdita delle proprie risorse. In uno stato d’ansia il corpo sviluppa minore o maggiore appetito, situazioni di insonnia e sregolatezza nel ritmo sonno-veglia, difficoltà di concentrazione.

In questo tempo che ci ha rallentati, è importante chiedersi cosa sta accadendo e chiedere aiuto laddove ci rendiamo conto che le nostre capacità di risposta non ci sostengono”.

 

Qual è stato il ruolo della psicoterapia in questo periodo, avete riscontrati cambiamenti nel modo di lavorare e negli strumenti utilizzati?

“Molte persone nella prima fase di emergenza sanitaria hanno richiesto un aiuto psicologico mentre adesso c’è chi ricorre molto rapidamente al farmaco, tralasciando o rimandando un’indagine o uno scavo psicologico più approfonditi.

Anche se lavoriamo molto online, il nostro lavoro non è cambiato. Io e i miei colleghi abbiamo ragionato molto su cosa potessimo fare senza il contatto fisico, essendo il corpo centrale per la nostra pratica. Sono proprio gli strumenti che provengono dalla psicoterapia corporea che ci vengono in aiuto: creare un setting, anche online, dove l’attenzione del terapeuta ricade su una serie di fattori come il tono di voce, i gesti, i movimenti del corpo e la respirazione del paziente; porre domande che mirano a far raggiungere consapevolezza all’altro.

Ad esempio, se qualcuno mi dice che è molto agitato, io non mi focalizzo solo sul racconto verbale, ma chiedo in quale parte del corpo percepisce l’agitazione; in pratica come dal corpo i pensieri si sviluppano anche nella mente: è un meccanismo che si chiama ‘Bottom up’ e risulta essere automatico, associativo, inserito nell’esperienza diretta del paziente e fortemente connesso con la sensorialità corporea.

Di aiuto sono, inoltre, altre tecniche corporee come il rilassamento, il body mindfulness e la respirazione, attuabili sia in presenza che a distanza”.

 

Mi viene da dire che questi sono consigli pratici che possiamo attuare non solo nella pratica clinica, ma anche nella nostra vita quotidiana: prima o dopo il lavoro, ad esempio. O in un momento di particolare tensione.

“Certamente, dico sempre a tutti di creare in casa delle abitudini il più possibile simili a quelle che avevamo prima: darsi obiettivi realistici durante la giornata, avere dei ritmi regolari di sonno-veglia e questo vuol dire anche regolare i pasti. Il sonno è sempre la consuetudine primaria del nostro benessere”.

Rosanna De Sanctis

In questo lungo periodo siamo sottoposti a un uso massivo e quasi sostitutivo della tecnologia, luoghi intangibili dove abbiamo guardato molto e non toccato. Gli strumenti tecnologici sono venuti in nostro soccorso, è innegabile, ma quali possono essere gli effetti di una troppo lunga esposizione?

“Bisogna imparare a conoscere, controllare e padroneggiare gli strumenti che utilizziamo. Ad esempio, chi lavora molto al computer è importante che non consumi i pasti davanti lo schermo, ma si prenda il giusto tempo per fare una pausa.

Conseguentemente curare il proprio benessere e i propri spazi: fare una passeggiata, tenere il corpo in movimento. Lavorare dieci ore al giorno e non muovere mai il proprio corpo porta non solo a una somatizzazione fisica, ma a uno stato emotivo che diventa man mano più angosciante, triste o rabbioso”.

 

La tecnologia ha aiutato le coppie? Cosa ci comunica il nostro corpo quando per lungo tempo viene a mancare il calore e il contatto del partner?

“In primis credo sia fondamentale darsi il giusto tempo per ascoltare l’altro. La tecnologia aiuta a non rimanere in un isolamento forzato, aiuta le persone a rimanere ancorate a quegli aspetti di affettività che si possono scambiare anche senza un contatto fisico, aiuta gli adolescenti che hanno fortemente bisogno di corporeità.

È importante per le coppie rimanere in contatto con le emozioni, raccontarsi all’altro, manifestare ciò che si sta sentendo e fare il meglio con quello che si ha: meglio una videochiamata che una chiamata, per dirne una”.

 

Completamente differente è chi, invece, in questo periodo vive l’altro come un pericolo da schivare, come qualcosa da non toccare assolutamente. Come sarà per loro?

“Tutti siamo stati in pericolo, ma qualcuno ha vissuto un eccessivo isolamento anche laddove non ce n’era davvero bisogno. Credo che il nostro bisogno sociale ci spingerà a incontrare l’altro e superare la paura. Ogni trauma può essere fronteggiato attraverso esperienze riparative e attingendo a risorse di noi stessi che non avevamo mai conosciuto.

E io credo che le interazioni e gli scambi saranno una delle cure. In questo periodo abbiamo allenato i nostri neuroni specchio, anche con la mascherina, e stimolato il nostro sistema di coinvolgimento sociale. Tutto questo ci tornerà utile”.

 

Ritiene cambiato il rapporto con i nostri sensi?

“Se non abbiamo consapevolezza di noi stessi e dei nostri sensi abbiamo peggiorato una situazione che era già esistente. Il tema è sempre quello di quanto si era consapevoli prima, quanto ci si conosceva e quanta attenzione si dava ai propri stati interni, emotivi e corporei. In una situazione come quella attuale i sintomi di una qualsiasi manifestazione potrebbero essersi amplificati e richiedere una maggiore attenzione”.

 

Abbiamo un bisogno sociale, ora più che mai, torneremo a guardare e toccare come facevamo prima, speriamo meglio di prima.

La storia relazionale di ognuno di noi costituisce la trama di una storia sempre aperta, un processo costantemente in movimento, fatto di errori, tentativi e risalite.

 


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