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Kemp. Il ritratto del poeta-clown che ispirò David Bowie

13-06-2019

Di Luca Giagnorio

Coreografo, mimo, danzatore, attore: è difficile racchiudere la personalità e il talento multiforme di Lindsay Kemp in un solo ruolo. Certamente fu un artista poliedrico, irriverente e anticonformista. Conosciuto in Italia forse più per le collaborazioni con star della scena musicale (uno su tutti, David Bowie in versione Ziggy Stardust), che non come ballerino e performer, a un anno dalla scomparsa rivive sul grande schermo in Kemp. My best dance is yet to come, primo documentario di Edoardo Gabbriellini, presentato in anteprima mondiale al Biografilm Festival.

La prossima proiezione è prevista alle ore 18 di venerdì 14 giugno al cinema Lumière, in attesa delle repliche di fine Festival. Sarà programmato anche su Sky Arte il 24 agosto, come tributo nell’anniversario della morte di Lindsay Kemp.

È un film dalla forte impronta bolognese con realtà come Mammut Film e Kiné coinvolte nella produzione e nella realizzazione, nonché vincitore del Bio to B Best Emilia-Romagna Project 2018, premio volto a promuovere e supportare le produzioni italiane sul mercato nazionale e internazionale.

Ritratto di Lindsay Kemp | Foto di Allan Warren

Non è una ricostruzione cronologica della vita, artistica e privata, di Kemp, ma un suo ritratto intimo per provare a renderne lo spirito e l’essenza, attraverso un continuo alternarsi tra passato e presente, tra i suoi racconti e diverse immagini di repertorio (vecchie interviste; spezzoni di suoi spettacoli come Flowers).

L’intenso piano sequenza di 8 minuti con cui si apre il film ci immerge istantaneamente nel mondo di Kemp, nel labirinto delle sue espressioni, nel suo magnetismo fuori dal comune, nella sua ironia.

Il documentario cerca di scavare sotto la maschera del performer: l’infanzia da “figlio di marinai morti in mare” in cui già era perso d’amore per la danza, il rapporto con le droghe “l’Lsd mi ha fatto scoprire una parte fondamentale di me”, i momenti difficili “quando facevo spettacoli di striptease in locali rozzi” e gli anni della ribalta nel West End londinese e a Broadway. Un’esistenza in continuo saliscendi, una sorta di moto ondoso (come lui stesso lo descrive) in cui picchi e cadute si susseguono continuamente.

Vediamo Kemp raccontarci gli incontri indimenticabili con Bowie e Marcel Marceau e ammettere l’incapacità di rimanere fermo “non posso andare in pensione, al massimo posso morire” che l’ha portato, nonostante l’avanzare dell’età, a cimentarsi sempre in nuovi progetti, come l’ultimo, su Dracula, rimasto incompiuto.

Più di ogni cosa traspare il gusto irresistibile del performer che ama essere sempre al centro della scena, con l’obiettivo di divertire gli spettatori e trasportarli in un’altra dimensione, “come sotto l’effetto di un incantesimo”, anche a costo di scandalizzarli.  Un’esistenza “piena di candore e sfacciataggine”, con un’unica stella polare: “bisogna vivere vite spettacolari, la mia lo è stata”.

Lindsay Kemp e David Bowie

Curiosa è la genesi di questo progetto, che ci racconta all’incontro con la stampa il regista Edoardo Gabbriellini, livornese doc (anche se ormai da anni bolognese adottivo).

Da dove nasce l’idea di realizzare un documentario su Lindsay Kemp?

“Tutto è nato quando ho scoperto che Kemp abitava a Livorno. Ho trovato assurdo che un personaggio per me mitologico vivesse nella mia città natale. Ho deciso così di andare a conoscerlo, senza nessuna intenzione da cineasta, ma poi è stato tutto talmente bello che ho deciso di fare il documentario”.

Cosa ti ha conquistato di Kemp?

“Il suo approccio alla vita, nonostante gli ottant’anni: quel ‘il meglio deve ancora venire, my best dance is yet to come’ è stato un grande insegnamento e mi ha fatto innamorare del personaggio”.

Perché proprio Livorno? Come ci è arrivato e perché si è fermato lì?

“La verità è che non lo so! Ogni volta che ho indagato mi ha dato una risposta diversa: il mare, la gente cordiale… Mille motivi, tutti veri e tutti falsi”.

Il tuo film si allontana dal tracciato dei “documentari classici”: hai deciso da subito di costruirlo in questa forma?

“In realtà no, all’inizio pensavo a una struttura più classica, raccontando Kemp anche attraverso le testimonianze di chi aveva lavorato con lui, da Peter Gabriel a Kate Bush. In fondo io stesso lo conoscevo più come un nome associato a David Bowie. Ma dopo aver incontrato Lindsay ho capito che sarebbe stato più interessante fare del film un ritratto personale, più intimo ed empatico. La mia speranza è che dopo la visione chi non lo conosce abbia la curiosità di saperne di più, di scoprirlo”.

Ritratto di Lindsay Kemp | Foto di Richard Haughton

L’intimità è data anche dalle interviste che hai realizzato all’interno della casa di Kemp a Livorno, che sembra un luogo fuori dal tempo.

“È stata una sorpresa incredibile entrare in un orribile palazzo anni ’80 in centro a Livorno e, una volta varcata la soglia di casa, trovarmi catapultato in un set vittoriano di James Ivory! Ho pensato di essere entrato in un varco temporale, Lindsay ha ricreato lì il suo mondo”.

Dal film traspare la personalità fortissima dell’artista, tu sei riuscito a conoscere anche la fragilità dell’uomo?

“Ho cercato di andare ‘dietro la maschera’, anche se non è mai stato davvero possibile: appena la macchina da presa si accendeva, Lindsay entrava in scena. È nato per stare su un palcoscenico, per intrattenere un pubblico. Stiamo parlando di un uomo che, da bambino nell’Inghilterra degli anni ’40, si è presentato a scuola in kimono e, obbligato dagli insegnanti a portare la tetra divisa scolastica, ha deciso di indossarla al contrario una volta scoperto che l’interno era rosso con finiture blu elettriche!”.

Una personalità fuori dal comune e un talento multiforme: come si definiva? Ballerino, coreografo, artista?

“Lindsay parlava di se stesso come di un poeta-clown, perché aveva la capacità d’innalzarsi e di essere pronto allo stesso tempo a perdere un po’ di dignità. Del clown in particolare diceva di avere la dote di rialzarsi sempre dopo essere caduto con il culo per terra. Con il suo candore e la sua sfacciataggine ha riempito il mio immaginario!”.


Qui gli altri film presentati al Biografilm Festival che abbiamo visto:

> IL DOCUFILM SULLA VITA DI MARADONA

> IL MISTERO DEL CASO HAMMARSKJÖLD

> QUANDO LUTHER BLISSETT INVENTÒ LE FAKE NEWS

> LETIZIA BATTAGLIA SI RACCONTA

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