L’amore, il corpo, la sessualità, i ricordi.
Sara Lorusso e Chiara Cappetta sono due fotografe che hanno deciso di raccontare per immagini l’universo femminile.
Le abbiamo conosciute in occasione di ArteFiera, dove hanno esposto i loro lavori.
Giovani, giovanissime. Ma con le idee molto chiare.
In un mondo ormai completamente digitale, Sara Lorusso ha scelto la fotografia analogica. Frequenta l’Accademia delle Belle Arti a Bologna e sogna una camera oscura. Immagini delicate, piene di significato che ruotano attorno al tema della sessualità. Frutta, specchi e glitter rosso raccontano il corpo femminile. Una preziosa testimonianza di un’onesta ricerca personale, lontana da ogni tabù.
Cosa hai voluto raccontare? Perché questi temi sono così importanti per te?
“La rappresentazione della sessualità è stato il mio primo lavoro. Il mio corpo e il corpo degli altri è il mio primo approccio alla fotografia. Sono sempre stata abbastanza riservata e questo progetto mi ha permesso di prendere coscienza di molte cose. Ho sempre sottovalutato l’importanza della sessualità, ad oggi invece credo sia un elemento molto importante nella vita di ogni donna. Malgrado la sessualità femminile sia ancora tabù rispetto quella maschile”.
Hai dei maestri, autori, artisti a cui ti ispiri?
“Nell’era di internet è difficile non ispirarsi a nessun, forse dovresti non aver mai visto cartelloni pubblicitari, foto su giornali o studiato arte contemporanea. In quel caso non ti sapresti rapportare con l’attualità e sapere le cose che sono già state fatte”.
Presente. Un’Odissea (Erga) è invece primo libro fotografico di Chiara Cappetta.
Una narrazione personale sulla vita, l’amore, il presente. I soggetti sembrano immersi nei ricordi, avvolti dalla luce naturale. Per creare un totale coinvolgimento dell’osservatore il volto dei soggetti fotografati è spesso nascosto o sfuggente. Le parole accompagnano le immagini. La musica infatti è la seconda grande passione di Chiara.
Perché ti sei avvicinata alla fotografia?
“Per supplire alla mia difficoltà nel comunicare a parole: sin da piccola sono sempre stata timida quindi ho cercato nell’arte il canale attraverso cui esprimere le mie emozioni. Dalla danza al disegno, alla musica fino alla fotografia. Inizialmente il soggetto ero sempre io e mi fotografavo unicamente di spalle, per non mostrare il volto. Questa modalità l’ho mantenuta nei miei lavori, come un segno distintivo delle mie immagini”.
Come nasce il titolo del libro?
“Trovare il titolo è stato un incubo. Analizzando il mio lavoro ho capito che ogni foto era un viaggio, un percorso, un’odissea. Io ero lì e ho catturato il presente, un attimo che spero essere comune a tante persone. La fotografia analogica mi permette di esprimermi meglio di quella digitale. Sono scatti imperfetti, più riflessivi ma anche d’impulso. Devo decidere in pochissimo tempo se vale la pena oppure no consumare un pezzo di pellicola”.
Da dove prendi ispirazione?
“Tutto ciò che vedo ed ascolto influisce sui miei scatti attraverso il filtro delle mie emozioni. Mi arricchisco nel confronto con gli altri. A dicembre scorso ho avuto una mostra personale a Milano che è stata una bellissima esperienza e spero di poter replicare in futuro e di conoscere nuovi artisti”.
Durante Arte Fiera abbiamo incontrato altre due giovani fotografe bolognesi:
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