Visual

Le foto di Michele Lapini, dentro gli ospedali e nelle strade deserte. Un diario giornaliero su come sta cambiando la città

14-04-2020

Di Silvia Santachiara
Foto di Michele Lapini

“Nonostante cerco di prendere tutte le precauzioni possibili, è un rischio che ho messo in conto. Il virus è invisibile, non fa distinzioni”

Fotografo professionista di Bologna, Michele Lapini ci ha raccontato e continua a raccontarci attraverso il suo obiettivo una città che si trasforma, restituendoci “ciò che vede e ciò che vive”. E lo fa anche oggi, entrando dentro un’emergenza senza eguali, tra le strade di una città deserta, nei cortili delle case, tra le corsie dell’ospedale, dentro le aziende che stanno convertendo la produzione, documentando la protesta dei detenuti al carcere della Dozza.

Foto Michele Lapini

Ci mostra quello che non possiamo vedere, come in un diario giornaliero, in un momento in cui la percezione del tempo non è la stessa di sempre e la mente si affolla di parole che capiamo, altre che non capiamo, di perché, di se. Davanti a noi solo il palazzo di fronte, le finestre che si illuminano la sera, le vite degli altri che scorgiamo attraverso una tenda.

Michele racconta storie: quelle di chi non può fermarsi, di chi in un primo momento non ha compreso l’importanza di restare a casa, di chi nella propria casa sta facendo i conti con una nuova condizione, ma soprattutto di chi oggi è in prima linea. Una “lotta quotidiana”, come la definisce Michele, che si combatte nei reparti, sulle ambulanze, negli uffici, tra turni massacranti, un forte lavoro di squadra e la propria intima solitudine.

Foto Michele Lapini

In questi giorni stai documentando quello che accade all’Ospedale Sant’Orsola, dove ogni giorno medici e personale sanitario lavorano senza sosta.

“Si, avevo già chiesto in precedenza di poter realizzare un progetto insieme a loro e ora, grazie a loro mi è stato permesso di entrare e di seguire il lavoro nei diversi reparti. Ho provato un grande senso di comunità e forza di volontà. Stanno sacrificando tutto per il bene collettivo”

C’è un’immagine su cui mi sono fermata in particolare: il personale medico nella stanza della vestizione prima di entrare nell’area Covid-19

“È uno degli elementi più importanti, ed è una procedura molto delicata. Bisogna entrare vestiti bene e svestirsi altrettanto bene e fare in modo di non contaminare l’ambiente e gli altri. Vengono fatti corsi per imparare questa procedura”

Foto Michele Lapini

Cosa stai raccontando attraverso questo progetto?

“È un diario giornaliero attraverso cui cerco di capire come sta la città, cosa succede, come sta cambiando, coprendo il tema nel modo più ampio possibile: da chi è costretto a lavorare come i riders, ai trasporti, la rivolta in carcere, la didattica telematica, la riconversione delle aziende, i parchi, chi ci lascia, la sperimentazione dei tamponi in auto. È una responsabilità, che mi sento di restituire attraverso le fotografie per chi è a casa in quarantena. Gli eventi, anche storici, li guardiamo attraverso le immagini. E questo è un evento storico surreale, ma che rimarrà nella memoria”

Tra le tue immagini anche quella dell’A14, deserta.

“Sono rimasto trenta minuti sul ponte dell’autostrada. Non c’era nessuno, solo qualche camion, ogni tanto. Questo sentire collettivo mi fa piacere e tutela soprattutto le persone più anziane o con patologie pregresse, che pagano le conseguenze più gravi. Mi piacerebbe fosse un azione naturale spontanea, senza bisogno di qualcuno che controlla”

Racconti anche le storie di chi non può rimanere a casa e delle aziende che hanno convertito la produzione in mascherine e abbigliamento usa e getta per gli ospedali. Cosa ci restituisci di Bologna?

“Una parte del mio lavoro si sta concentrando sulla riconversione economica, questo si, un elemento comune ai periodi di guerra quando le attività produttive erano utilizzate per scopi bellici. Adesso invece si producono mascherine, gel disinfettanti, sanificatori. Anche questo è essere parte di una comunità, restituendo ciò che negli anni le persone ti hanno dato”.

 Dal primo scatto in cui la città iniziava a svuotarsi ad oggi come hai vissuto l’evolversi dell’emergenza? Mentre tutti noi siamo chiusi in casa tu hai continuato a muoverti in città, quale è stato il primo impatto e le sensazioni di adesso?

“Penso di essere un privilegiato. Mentre le persone sono costrette in casa io per lavoro devo muovermi. Inizialmente vedere Bologna così è stato uno shock, il primo giorno di chiusura sono stato in via Zamboni e vederla deserta è stato surreale. Pian piano poi ci si abitua, gli occhi sanno già cosa trovano mentre attraversi Bologna vuota dove le uniche persone che girano sono i riders e le forze di polizia”.

13-03-2020. Bologna, piazza maggiore. persone indossano la mascherina protettiva per il coronavirus, mentre i negozi sono chiusi e le forze dell’ordine presidiano il territorio. Foto Michele Lapini/eikon

 Tu sei presente dove le cose succedono, in una città viva e reattiva. Ora fai i conti con un nuovo scenario. Che effetto ti fa?

“Infatti, a me più che i concerti mancano i cortei. Scherzi a parte, è interessante capire come la città reagirà al post quarantena. Cosa troveremo uguale e cosa no. Ma soprattutto credo sia molto importante capire le conseguenze sociali ed economiche di questa pandemia, che non colpisce tutti e tutte allo stesso modo. Ci sarà da farci i conti, cercando di essere il più preparati possibile”.

 Un’immagine che più di altre ti è rimasta impressa.

“Sono tante, negli ospedali sono tutte situazioni intense e continue. Una però in particolare mi ha colpito, quando siamo arrivati in Pronto Soccorso. Il personale sanitario sorrideva, qualcuno si è messo a scrivere con il pennarello sui camici. Avevo il timore di essere un ostacolo, avrebbero potuto prenderla diversamente e avrei capito perfettamente. E invece è stato un momento che ha alleggerito chi sta facendo turni massacranti, si assume rischi quotidiani e vive in case diverse da quelle della propria famiglia”

Insieme ad altri fotografi professionisti hai lanciato un progetto collettivo, Arcipelago-19, un atlante visivo della pandemia per raccontare per immagini questo momento. Come è nata l’idea?

“L’idea è nata per mettere insieme i lavori che stanno facendo i fotografi in giro per l’Italia. Da chi vive la quarantena in casa a chi esce per lavoro a documentare il proprio territorio. Un modo per valorizzare il lavoro dei/delle freelance che anche in questa pandemia sono in prima fila per raccontarlo e farci arrivare a casa le informazioni e le fotografie che poi riguarderemo per ricordare questo momento”.

Condividi questo articolo