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Lorenzo Maragoni, il campione del mondo di Poetry Slam si racconta

23-02-2023

Di Noemi Adabbo

Lorenzo Maragoni, classe 1984, originario di Terni, ex docente all’Università di Padova, è campione del mondo di Poetry Slam, un’arte fortemente contemporanea che trova nella parola la propria amica più fedele e nel sodalizio tra poesia e performance la propria dimensione.

Il ritmo non è quello del rap ma resta lo stesso di Paolo e Francesca e il teatro è il palco su cui farsi le ossa, come ci tiene a sottolineare Lorenzo, nato come statistico prima, tramutatosi in attore poi e regista dopo ancora.

Maragoni ci racconta come ha incontrato questa sua inclinazione artistica e che impatto e sviluppo ha avuto sul proprio percorso lavorativo e personale, partendo dagli inizi, allora ancora una sconosciuta, fino a quando la poetry slam, incontrata per caso, una sera, su una barca, sia diventata parte integrante e fondamentale del tragitto. Un investimento sulla quale ha deciso di credere, forte dell’entusiasmo e della partecipazione del pubblico, che, negli anni in cui ha calcato le scene e il dietro le quinte del teatro, non aveva mai vissuto.

La Poetry Slam è il matrimonio tra performance e poesia. Ma prima che per il poeta stesso, come affermava il fondatore Marc Smith, la poesia nasce ed esiste per celebrare la comunità. Raccontaci come ti sei avvicinato alla poetry slam e perché. 

«Sì, ho sempre avuto passione per la poesia fin da quando alle superiori mi mettevo a scrivere queste terribili poesie d’amore per le ragazze di cui mi innamoravo. Ho scoperto poi la poetry slam in età più adulta, verso i 35 anni, quando ho visto un mio amico performare la poetry slam a Portogruaro su una barca. Una serata magica in cui era presente tantissimo pubblico e giovane che applaudiva, tifava, coinvolto in un modo tale che non avevo mai visto a teatro. Allora mi sono detto, “ok, questa cosa io la voglio fare”, e la stessa settimana ho partecipato al mio primo poetry slam, a Padova, in un bar di strada, nel quartiere universitario. Ho portato le tre poesie che avevo in quel momento e che avevo condiviso su Facebook qualche tempo prima. Ho vinto ed è stato qualcosa di un’adrenalina pazzesca e lì ho detto, “ok, io questa cosa la voglio fare”».

 

Cosa differenzia realmente la poesia classica, standard, come tutti la conosciamo e la poetry slam? E chi è il poeta?

«I poeti e le poetesse della poetry slam sono persone diversissime tra di loro. Ci si avvicina alla poetry slam a partire dalla poesia scritta ma anche a partire dal teatro, dal rap e da percorsi completamente diversi. Le persone che fanno poetry slam sono attori ma sono anche statistici, avvocati, sono social media manager, sono insegnanti e studenti. Sono di diversa provenienza. Quello che c’è di diverso rispetto alla cosiddetta poesia sta nella nascita della poetry slam in forma completamente orale, motivo per cui segue regole diverse proprio in termini di comunicazione rispetto alla poesia classica che conosciamo meglio come scritta. Il format è quello di una vera e propria gara che porta ad avere il voto del pubblico alla fine di ogni performance».

 

La poetry slam viene spesso relegata alla dimensione di terza poesia, è a tuo parere una categorizzazione giusta? 

«Non saprei, penso dovrebbe essere chiesto a chi la ritiene inferiore. Penso si possa fare poetry slam bene e male, poesia scritta bene o male. Penso dipenda molto da quello che una persona ha da dire e come vuole dirlo. Ci sono persone che si trovano di più a loro agio con la forma scritta e altre con la forma orale, alcune con la dimensione pubblica e altre ancora con la dimensione privata».

Parlaci del tuo percorso, parlaci del tuo percorso nel teatro, com’è nato e come si è sviluppato, com’è cambiato. Il teatro è necessario alla poesia? E la poesia, è necessaria al teatro?

«Il mio percorso nel teatro ha fatto un giro a 360 gradi. Ho iniziato come attore, studiando da attore e iniziando a lavorare come attore ed è nato per un desiderio di curiosità e scoperta ma soprattutto di piacere. All’epoca studiavo scienze statistiche all’Università. Mi piaceva molto ma quando ho scoperto il teatro ho capito mi piacesse ancora di più e che fosse un luogo pieno di vita e di modi di raccontarla e piena di incontri. Ho cercato, quindi, di seguire questa strada.

Molto presto, in realtà, ho iniziato a fare il regista perché mi piaceva di più lavorare con gli altri come attori piuttosto che espormi in prima persona ed è cambiato nel tempo perché, dopo i primi esperimenti che sono stati dei tentativi sui testi altrui, ho incominciato a scriverne di miei collaborando con i colleghi della compagnia Amor Vacui di Padova. Un passaggio importantissimo è stato questo: iniziare a scrivere qualcosa di nostro utilizzando la scrittura di scena, facendolo in modo condiviso, non con un copione calato dall’alto ma che nasce proprio dalle improvvisazioni e dalle riflessioni degli attori insieme al regista. Con questo percorso siamo arrivati nel 2018 con una speciale menzione al Premio Scenario con lo spettacolo Intimità, riconoscimento per noi molto importante.

Poi, in seguito alla scoperta della poetry slam, ho ricominciato a salire sul palco, autore e regista di me stesso, per tornare di nuovo a fare l’attore. Adesso questi due mondi si sono completamente mischiati: ciò che faccio a teatro ha sempre a che fare con la poesia e ciò che faccio con la poesia ha sempre a che fare col teatro.

Se la poesia è necessaria al teatro e viceversa? Non lo so, diffido della parola necessario in campo artistico, può essere utile ma non necessario. Non necessariamente la poesia è necessaria al teatro e dipende cosa si intende per poesia, se intendiamo un qualsiasi utilizzo intenzionale e creativo delle parole allora sì; se intendiamo la poesia in senso tradizionale allora no, il teatro può essere fatto anche in prosa. Sicuramente il teatro è necessario alla poetry slam perché la dimensione performativa di andare sul palco davanti ad un pubblico, con un bagaglio teatrale può forse non essere più facile ma sicuramente più efficace».

 

Quali sono gli elementi che ti piace visitare di più con l’uso della poesia e quale di questi vedi che ha maggior riscontro da parte del pubblico?

«Credo che quello che mi piace sia mettere a fuoco una sensazione strana, nuova, imprevista per me da raccontare, descrivere e ampliare e analizzare. Come dice Marinella Scavi al microscopio e al rallentatore e come dice Paolo Nori “riguardare le cose come se le si vedesse per la prima volta“, che mi ha aiutato a capire davvero cosa stessi facendo. La sensazione di tornare a casa nella tua regione di origine, di notte, e passare in quel specifico punto con una specifica luna, sentendosi in uno specifico modo; la sensazione di una tua ex fidanzata che ti invita al suo matrimonio e come ti senti in quello specifico momento. Tutto questo fa scattare qualcosa dentro di me che cerco di scrivere nel modo più chiaro possibile.

La forma poetica aiuta in termini di ritmo, gioco e rime e musiche e, in realtà, penso possa portare proprio a una maggiore chiarezza. Mi piace quando visito o vengo visitato da queste sensazioni per esserne da tramite al pubblico che già le conosce in un qualche modo ma le riscopre e riconosce o ci si rivede. I pezzi di maggior successo sono Revenge bedtime procastination in cui parlo di guardare video all’infinito prima di andare a dormire piuttosto che andare direttamente a letto, Gioia che parla di mia mamma, intimo e divertente, e un pezzo nuovo, che sto provando proprio in questi giorni, e che tratta dell’essere millennials e dello scatto nel passare dalla giovinezza all’età adulta, con gioie e dolori».

“Solo quando lavoro sono felice” con l’altro attore Niccolò Fettarappa | Foto di Serena Pea

Come e quando scrivi una poesia?

«Per me le poesie vanno scritte subito, quando ti viene un’idea, quando succede qualcosa, non appena assume forma sufficiente da scrivere almeno una decina di versi, è bene scriverla per evitare che si perda. Scrivere nel momento aiuta veramente a trasmettere l’emozione più chiaramente, anche se solo una prima stesura che non sarà la versione definitiva per la quale bisogna tornarci sopra e che per me può richiedere due o tre settimane in cui sistemo, allungo, accorcio nella forma scritta poi incomincio a dirla senza impararla a memoria, così che anche la parola parlata, spontanea, integri quello che ho scritto.

Spesso mi capita per strada, a volte anche a cena con gli amici dove devi assentarti un attimo col rischio di sembrare maleducato. Scrivo quasi sempre al telefono, a volte al computer, quasi mai a mano anche se a volte capita. Una mia amica fotografa, molto brava, Francesca Paluan che dice che fare street photography è come fare il portiere quando si gioca a calcio: sai che arriverà un pallone da qualche parte ma non sai quando e non sai da dove. Ecco, fare poesia in questo modo è fare la stessa cosa, sai che ti arriverà qualcosa da raccontare ma non sai né quando né da dove. Bisogna sempre essere pronti e quando arriva, scriverla subito».

 

Cosa pensi sia la poesia per il pubblico? Diventano essi stessi attori e la performance è un po’ anche il loro palcoscenico?

«La poesia per il pubblico spero sia un modo per riconoscersi e di raccontarsi, per mettere a fuoco. La poesia, essendo così tendenzialmente breve, è come se fosse un insieme di punti rispetto ad uno spettacolo di teatro che vedo più come se fosse un arco, una linea, un segmento, mentre la poesia è più simile a una foto. Se diventano essi stessi attori non lo so, direi che proiettano su chi sta sul palco qualcosa di sé e se la poesia funziona ci sentiamo tutti in un unico luogo dove ci sono spettatori in platea e attori sul palco, ognuno al proprio posto. Il modo di fare poetry slam ti permette di essere più vicini e uniti e più che il pubblico a divenire attore, è l’attore che diventa pubblico. Ed è bene che non si dimentichi mai».

 

Parlaci dei tuoi progetti, cos’hai in serbo per quest’anno e quelli a venire?

«Per quest’anno continua il tour di Stand up poetry e il tour di Quando lavoro sono felice, spettacolo di prosa insieme a Niccolò Fettarappa, prodotto da La corte Ospitale che ha debuttato a dicembre 2022 a Roma. Contemporaneamente ho il Teatro Stabile del Veneto, teatro nazionale che mi ha offerto il ruolo di curatore al Teatro Le Maddalene di Padova sul quale mi hanno chiesto di progettare nuovi format teatrali, quattro tra i quali è compresa anche la poesia, e che si svolgerà da febbraio a  maggio. Tra i progetti a venire c’è un nuovo monologo che sto iniziando a scrivere e che debutterà, credo, verso la fine di quest’anno».

 

Come ha cambiato la poetry slam il tuo percorso artistico e lavorativo?

«La poetry slam ha cambiato totalmente il mio percorso artistico e lavorativo. È stato uno degli incontri più importanti della mia vita. L’incontro con questa disciplina per me all’inizio era un hobby, qualcosa che mi piaceva fare, e non credevo potesse incrociare il mio percorso lavorativo e quando poi invece questi due mondi hanno incominciato a toccarsi , quando ho iniziato ad avere abbastanza pezzi da poter fare uno spettacolo, vedendo come il pubblico rispondeva, arrivando a a fare il campionato italiano e vincerlo, mi sono detto di provarci e investirci. Ora sento che è una parte importantissima del mio percorso artistico e professionale».

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