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“Scrivere può aiutarci a leggere il tempo”. Una storia sospesa, il romanzo collettivo HMCF

07-04-2020

Di Martina Fabiani
Foto di collettivo HMCF

“Il problema principale della solitudine è il potersi esprimere” (Collettivo HMCF)

“Fuori piove, alla televisione danno una di quelle insistenti repliche di televendite. Durante il giorno passano troppo spesso inosservate mentre la notte hanno un fascino particolare”. Inizia così Una storia sospesa, progetto creativo e figlio dell’isolamento, ideato dal collettivo bolognese HMCF (vi raccontiamo chi sono qui)

Che cos’è? Nient’altro che un romanzo collettivo, una staffetta creativa senza una meta reale, che naviga nel mare di internet e ci resterà fino a nuova ordinanza. Un prodotto laico, di tutti e per tutti, una maniera – forse – per sentirci meno soli, per parlare con qualcuno senza necessariamente metterci la faccia, per impiegare una delle tante ore che, adesso, abbiamo a disposizione, per avere o lasciare agli altri un ricordo di questo tempo sospeso.

A farci sentire sospesi non è solo l’attesa, l’immobilità, ma la sensazione di non sapere cosa ci sarà dopo. Non sappiamo se torneremo al modello di vita che conosciamo e a cui siamo abituati e questo, inevitabilmente, sprigiona solitudine e malinconia. Scrivere potrebbe aiutarci a leggere il tempo”, afferma Teo Filippo Cremonini, membro fondatore del Collettivo, ideatore del progetto e autore delle prime pagine di questa storia.

Il racconto che ha iniziato Teo, l’ha portato avanti Fosco, seguito da Nostromo e Disegnistonati, poi da altri. Ad oggi conta sei capitoli, e ventiquattro firme. La venticinquesima potrebbe essere la tua. Non ci sono regole, restrizioni o limitazioni: la storia è online, aperta, condivisa e non ancora terminata. Si può aprire il foglio word (vedi in fondo all’articolo), leggerla tutta, metà o un estratto, decidere di chiudere il documento una volta terminata la lettura o avere la voglia di dargli un seguito.

Cosa spinge a voler continuare il racconto? “Secondo me la storia stessa, l’idea di continuare qualcosa che hanno creato gli altri. Le prime firme appartengono agli autori del nostro collettivo, il resto è venuto da sé, è stato un processo spontaneo”, racconta Teo.

Decidere di contribuire a questo progetto significa, inevitabilmente, fare i conti con gli altri, lasciarsi contaminare dalle loro parole, dal suono delle loro frasi. Sconosciuti si incontreranno in uno spazio virtuale e atemporale, comunicheranno, e tutti insieme saranno parte di qualcosa. C’è condivisione e intimità in tutto questo. “Non ci avevo mai pensato, c’è sicuramente un’intimità condivisa, ma poi se è condivisa forse non è più intimità. Credo che ognuno di noi abbia una sfera privata che difficilmente riesce a condividere, no?”, confessa Teo.

Io e Teo abbiamo la stessa età. Nel corso della nostra chiacchierata noto che prova più volte a rilanciare a me le domande che io rivolgo a lui. “Non sono abituato a stare da questa parte, solitamente sto dalla tua”, mi dice.  “Ti capisco, la sola idea di trovarmi dal lato in cui sei tu adesso mi terrorizza”, rispondo. Abbiamo rotto subito il ghiaccio, ma come i tanti autori di “Una storia sospesa” probabilmente non ci conosceremo mai.

L’ho letta “Una storia sospesa”. Giuro. Quasi tutta. Fino ad un certo punto, mi è piaciuta davvero. Mi ci sono immedesimata. Mi è sembrata una storia dei giorni nostri, con un protagonista dei giorni nostri. La scrittura è diretta, lineare, senza lustrini o giri di parole. Nei primi capitoli ho avuto l’impressione che a scrivere fosse la stessa persona. Chissà. Il bello è proprio questo: leggere ventiquattro firme per trentasei pagine con la sola certezza che quello prima di te si è interrotto al punto in cui devi cominciare tu, e poi basta. Il resto puoi presupporlo, o immaginarlo.

Se decidi di prendere parte a questa scrittura collettiva, potresti avere voglia di seguire la scia del tuo predecessore o ribaltarla completamente. Viene da chiedersi che ripercussioni abbia tutto questo sul senso generale della storia. “Ad un certo punto qualcuno ha scritto qualcosa di poco sensato, fortunatamente la persona ha contestualizzato quell’intermezzo stonato. Sarebbe bello che la storia continuasse con una sua coerenza, ma mi rendo conto che più si va avanti e più diventa difficile”, afferma Teo.

“Una storia sospesa” rimarrà tale probabilmente fino a fine aprile e si doterà di una copertina condivisa. E poi? Non ci sarà alcuna deriva commerciale. Potremmo stampare il progetto tramite un crowdfunding, ma l’importante è che resti il ricordo di una particolare esperienza vissuta. Siamo agitatori sociali, facciamo progetti temporanei”.

“Una storia sospesa” mi ha riportato alla mente uno spazio, ad Amsterdam, che si chiamava Sexyland. Era pensato come un luogo “di nessuno” e per un anno avrebbe avuto ogni giorno un diverso padrone e un diverso evento al suo interno: era libero, senza regole, ma temporaneo. “È importante che l’idea abbia un fine. Tutta questa energia che percepiamo non è illimitata e vogliamo che rimanga l’attitudine del qui e ora”, mi aveva raccontato uno degli ideatori del progetto. Chissà se esiste ancora o qual è stata la sua sorte.

Chissà cosa ne sarà di “Una storia sospesa”, chi avrà l’ultima parola. Prima di salutarci ho chiesto a Teo di dirmi, di getto, come avrebbe continuato la storia al suo stato attuale. Ma non ve lo dico. 

Se volete potete continuarla voi qui.

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