Visual

Sogni (e incubi) durante la pandemia negli scatti di Anita Scianò

30-12-2020

Di Noemi Adabbo
Foto di Anita Scianò

La felicità si dice sia da ricercare dentro di noi, non possiamo trovarla all’esterno. E non sono, forse, i sogni, la nostra parte più profonda e incosciente, desideri di felicità?

Anita Scianò, insieme a Cecilia Guerra Brugnoli, Francesca De Dominicis, Jane Liskova, Francesco Rucci ed Erika Volpe ha fondato il progetto fotografico collettivo Covisioni in collaborazione con altri 40 fotografi sparsi nelle 20 regioni italiane per documentare ciò che sta accadendo, non tanto sulla situazione attuale, ma sulle conseguenze e gli effetti che questa ha generato all’interno delle relazioni umane.

L’iniziativa dura un anno, e Anita ha deciso di contribuirvi col suo di progetto, Gli Argonauti, che parte da una domanda: “I nostri sogni quanto sono collegati alla realtà di emergenza sanitaria che stiamo vivendo?”.

Ho parlato con lei per imbarcarmi nei sogni e negli incubi dei suoi soggetti, carpirne i significati, ed esplorare il mondo che ognuno di noi si è creato tra quattro mura. Le sue foto hanno fermato le notti dell’Emilia-Romagna, le hanno catturate, consegnando loro forma tangibile affinché tutti possano vederle a occhio nudo. Nude anch’esse, spogliate delle braccia di Morfeo.

La fotografia è ciò che trattiene o descrive la realtà in un qualche modo, ma tu hai deciso di portare alla luce, e quindi al conscio, ciò che sta nel nostro di inconscio, focalizzandoti sui sogni, dando loro forma, perché la realtà che viviamo ci risulta difficile da accettare. Diventano, quindi, i sogni, realtà?

Io credo che le due dimensioni si compensino: la realtà in certi momenti attinge dal sogno e viceversa, il sogno attinge dalla realtà. Non avremmo una dimensione onirica se non avessimo una vita calata nella realtà, qualsiasi essa sia.

Di notte sogniamo, rielaboriamo, mettiamo in scena ciò che viviamo o che vorremmo vivere e che ci manca. Per questo, a mio parere, risulta essere un argomento molto interessante: è una sorta di vita dall’altra parte. Sono intercambiabili e si influenzano a vicenda. Ovviamente, dipende anche dalla sensibilità della persona e da quanto questa si ascolta, elemento che ho notato molto nelle persone che sto intervistando e fotografando.

Ci sono persone che si stanno ascoltando molto di più rispetto a prima. Ora c’è più volontà di prendersi cura di sé stessi anche in questo. Stando tanto tempo in casa, tutti isolati, abbiamo fatto i conti con noi stessi”.

La maggior parte di noi, soprattutto durante il lockdown di marzo, ha sviluppato sogni differenti dal solito, con tematiche e sfondi diversi rispetto a prima. Come sono stati quelli delle persone che hai fotografato? 

“Quello che proprio mi affascinava era capire come le persone sognano. Tutti sogniamo in modo diverso: c’è chi sogna in bianco e nero, chi a colori, chi in terza persona, chi in prima. Già solo partire da questo crea un sacco di differenze.

L’interesse per questo progetto è nato da diversi articoli che ho letto durante il periodo della quarantena che parlavano, appunto, del cambiamento inerente i sogni e gli incubi. Nelle persone che io ho fotografato ci sono stati sia sogni positivi che incubi e, su un totale di 12 soggetti, si sono equivalsi. Gli stessi sogni positivi presentavano degli aspetti forti, elementi che rimangono impressi. A loro ho chiesto, ‘dal lockdown ad adesso, qual é un sogno particolarmente vivido che ti é rimasto addosso e a cui ancora, qualche volta, pensi?’.

Alcuni fanno sogni ricorrenti oppure sognano elementi che ricorrono in sogni diversi. Mi ha colpito il fatto che molti sognassero i mezzi pubblici, il viaggio, che, oltre ad essere cose che in questo momento non possiamo fare, all’interno della simbologia onirica afferiscono tutte alla sfera dell’indipendenza, della dipendenza da qualcuno. Su 12, 9 sogni si sviluppavano su un autobus, un treno o una corriera. Scendono e, o non riconoscono la città, o si ritrovano da soli. Un’antitesi tra il senso di solitudine e la dimensione pubblica.

Molti si sentono chiamare per nome, segno di una necessità di essere riconosciuti e considerati da qualcuno. Oppure il proprio nome scritto. Il tempo è un tema fortemente presente in varie forme, così come il lavarsi. Una ragazza ha sognato di essere in un’assemblea piena di persone dove un megafono chiamava chi veniva condannato a morte: lei sente chiamare il suo nome quindi conosce già il suo destino. Va a casa e si lava, fa la doccia. A suo parere, collegato non tanto alla questione del virus quanto a una sensazione di purificazione. Torna nell’aula, vuota, dov’è presente solo una ragazza che perde sangue dal naso. Sia l’acqua che il sangue esprimono una volontà di rinnovamento”.

Ci sono state differenze rispetto al sesso o all’età dei sognatori?

“Sono partita dai coetanei ma ho cercato di ampliare la mia ricerca investendo generi ed età diversi. Non ci sono state differenze evidenti tra uomini e donne. Fin dall’inizio ho cercato di diversificare abbastanza l’approccio appunto per avere degli esempi diversi, infatti di fianco alla foto indico età e professione.

Non ci sono grandi differenze in generale ma in tutti è presente la mancanza delle persone, degli affetti e l’effetto cambia a seconda dell’età, questo sì. Per esempio, c’è una ragazza che ha sognato di rivedere il padre dopo tanto tempo ma si accorge poi di avere gli occhi cuciti con ago e filo e di non riuscire ad aprirli. Un simbolismo molto forte. Molti hanno ricominciato ora a ricordarsi i sogni, forse per l’intensità che portano con sé”.

La felicità sembra essere qualcosa di astratto, difficilmente rappresentabile: può il sogno, nascendo dalla parte più irrazionale di noi, darle forma?

“Secondo me, sì. Penso che affidiamo troppa responsabilità alla gioia e alla felicità: alla fine, sono emozioni anche loro. Quindi, perché ci danniamo tutto il tempo nella ricerca della felicità e invece non ce la godiamo quando l’abbiamo, invece che ricercarla subito una volta persa? Alla fine è un sentimento come gli altri.

La carichiamo di troppe aspettative e così facendo alla fine ne rimaniamo delusi. Quando faremo pace con questo, saremo tutti più sereni. Come i sentimenti negativi, arrivano e se ne vanno, lo stesso fa la felicità: perchè la gioia dovrebbe rimanere tutta la vita? È una cosa innaturale. È un pensiero vagamente cinico ma giusto.

Anche i sogni penso siano così: sicuramente possono creare felicità, tutto dipende da quanto uno sa ascoltarsi e guardarsi dentro. Quando ti svegli, a seconda del sogno che hai fatto, ti poni delle domande e questo può aiutarti a essere felice. Così come il ricordare dei bei momenti che ci vengono a trovare durante il sonno. Chiedo alle persone di scrivermi il loro sogno poi io cerco di focalizzarmi sui simboli al loro interno, facendone mia la lettura per tirarne fuori un collage”.

Hai chiamato il tuo progetto fotografico Gli Argonauti: il mito greco racconta dei 50 eroi che, guidati da Giasone, a bordo della nave Argo, riconquistano il vello d’oro. Può rappresentare il loro percorso, idealmente, il viaggio verso la felicità?

“Assolutamente, ne è sicuramente la metafora. Siamo già felici un po’ mentre la stiamo cercando, la felicità, ma non ce ne accorgiamo.

Al liceo mi sono molto appassionata alla storia di Giasone e degli argonauti e ne ho amato questa simbologia del mare e del viaggio. Fotografo i miei soggetti di giorno ma mi raccontano la notte, quasi come se vivessero due vite. Mi piace molto l’immagine dei naviganti che viaggiano per raggiungere uno scopo, il vello d’oro, tra mille avventure, ed è questa che mi ha portato a usarlo come titolo del mio progetto: nel mare siamo tutti insieme”.

 

Come pensi sia cambiata la concezione di felicità in questo periodo? Hai riscontrato questo cambiamento all’interno dei sogni delle persone intervistate rispetto a ciò che le rende più o meno felici? Dal lockdown di marzo è maturata una valutazione differente della felicità, ridimensionandola alle piccole cose. Una felicità, quindi, più essenziale ma non per questo minimalista, semmai più vera.

“Io penso che tutto si riduca alle relazioni umane, molti ne hanno riscoperto l’importanza o semplicemente sono riusciti a discernere i rapporti veri da quelli futili. Credo che si sia visto molto questo, sia l’importanza di avere degli affetti che il comunicarsi agli altri. Una felicità più pura, che non si può trovare negli oggetti. Questo processo penso che, sì, sia avvenuto insieme a una maggiore attenzione verso le piccole cose, quelle semplici”.

Secondo te, sogniamo sempre ciò che desideriamo?

“No, perché semplicemente sono un’espressione di noi e non siamo fatti solo di ciò che desideriamo. Siamo fatti anche di ricordi, di passato. I sogni esprimono ciò che sta alla superficie ma non solo”.

 

E avere ciò che si desidera ci porta sempre a essere felici?

“Dipende. Ci sono dei casi in cui effettivamente è vero. A volte, quando ottieni qualcosa, la vita ti cambia in meglio. Altre volte è una felicità più effimera e quindi una volta ottenuto quello che volevi, torni al punto di partenza”.

 


Che fine ha fatto la felicità?

Gli altri articoli

> “La felicità è solo in stand by”. Parola di Marinelli

> 2BHappy e la Scienza della Felicità

Lettera aperta di uno studente

> Scritte ignoranti a Bologna. L’infelicità comica sui muri della città

> Caro 2020 ti scrivo

Condividi questo articolo