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“Non faccio attivismo, ma artivismo”. Intervista a Sturmann, illustratore e creativo

21-09-2022

Di Nadia Ruggiero
Foto di Sturmann

Si chiama Gianluca, è nato a Genova. Oltre al cappello con la visiera al contrario, “indossa” un insolito cognome: Sturmann. «Ho il cognome di mio padre, che è nato a Palermo: è un po’ un mistero perché abbiamo questo cognome, nessuno della mia famiglia lo sa veramente». Che poi, sbirciando il suo profilo Instagram, ho scoperto che la visiera sulla nuca è una specie di marchio di fabbrica nell’outfit di Gianluca, che di loghi e marchi ne crea per mestiere. Insieme a manifesti e copertine.

Sabato 24 maggio sarà da BURŌ, smart working cafè dall’arredamento minimale, nato a Bologna in piena zona rossa, in via Sant’Isaia 57/D. In occasione del Birthday Party per festeggiare il primo compleanno di BURŌ, il locale ospiterà un mercatino, dj set, workshop e live painting (ve l’abbiamo raccontato qui). Al piano interrato Gianluca esporrà le sue illustrazioni e alcune ceramiche. Sì, perché ha disegnato anche su piatti e vasi, tutti pezzi unici. In fondo la sua soddisfazione più grande è sapere di poter arrivare nelle case delle persone attraverso i suoi disegni. «L’artista vuole finire nei musei», dice citando liberamente Bruno Munari, «il designer al mercato rionale».

Gianluca disegna da quando impugna la matita. «Ricordo che alle elementari la maestra di matematica mi suggerì di fare dei disegni per memorizzare le tabelline: io trasformai le tabelline nella rete dei pescatori, dove scrivevo i numeri e ci facevo passare i pesciolini, aggiungevo altri mille dettagli e la cosa finiva col degenerare…».

Da allora Gianluca non ha mai smesso di disegnare, seduto prima tra i banchi del Liceo artistico, poi tra quelli dell’Accademia di Belle Arti della sua città natale. Gli chiedo se la sua famiglia lo ha appoggiato nelle sue scelte scolastiche. «La mia famiglia mi ha molto assecondato nella misura in cui era totalmente sfiduciata in me». Gli scappa un sorriso. E spiega: «Quando ho finito la terza media e dovevo scegliere quale scuola frequentare alle superiori, ho chiesto consiglio a mia madre. Ero indeciso tra il perito chimico e il liceo artistico. Mia madre mi ha suggerito di mantenere un profilo un po’ più basso, così mi sono iscritto all’artistico…».

Sotto il berretto, Gianluca rivela un’aria inconsapevolmente serafica. Che non cambia nemmeno quando mi racconta che, sette anni fa, in un momento di crisi generale, è approdato a Bologna in cerca di un nuovo lavoro. Solito giro di curricula disseminati ovunque e l’agenzia di comunicazione dei suoi sogni che, dopo il classico “Le faremo sapere”, lo ricontatta già il giorno dopo. «Ero la persona giusta al momento giusto», racconta senza lasciarsi andare a facili autocelebrazioni.

Al lavoro in agenzia Gianluca affianca un’instancabile attività da freelance. «Mi piace unire il disegno a questioni sociali», confessa quasi subito, «realizzare illustrazioni che non siano solo la mia espressione, ma anche quella di altre comunità e gruppi di persone». Gianluca, infatti, collabora con il MIT – Movimento Identità Trans, per il quale ha realizzato diverse illustrazioni. È suo il logo di Star – Centro antidiscriminazioni, rivolto alla comunità LGBTQIA+; portano la sua firma il manifesto “Favolose oltre i confini”, realizzato per la giornata internazionale delle persone rifugiate, e quello dell’ombrello antiviolenza, creato per lo Sportello antiviolenza di genere. «Non faccio attivismo, ma artivismo», dice nel costante tentativo di ridimensionare sé stesso, «attivismo suona troppo solenne».

Gianluca illumina il telefono e mi mostra i suoi lavori. Scorre rapidamente l’indice su una serie di disegni accompagnati da ironiche didascalie, ma rallenta almeno su un paio di immagini: il manifesto per la campagna di sensibilizzazione alla donazione del sangue, che tappezza le strade di Piacenza, e la recente illustrazione di una sagoma umana gigante, composta da porte e finestre, «attraverso le quali», spiega, «puoi entrare e uscire liberamente. Con questo comunico l’abitabilità del corpo tramite autodeterminazione».

Secondo Gianluca, un disegno efficace deve arrivare subito al nocciolo della questione. «Io non ho l’ambizione di rendere un’immagine memorabile, ma di creare qualcosa che generi significato e che rimanga oltre quel secondo di visualizzazione. Che riesca a dire molto in pochi tratti». La riflessione sulle relazioni, sul corpo e sull’identità è al centro di Home with you, una serie di scatti esposti al Cassero di Bologna durante il Gender Bender festival e in Ucraina, al Festival di arte contemporanea My art. «Durante il secondo lockdown avevo raccolto parecchie scatole delle spedizioni. Ho usato i cartoni per fare delle maschere colorate e ho chiesto ai miei amici di indossarle in casa, in alcuni momenti di vita quotidiana. Le maschere mettono in relazione identità diverse e fisicamente distanti».

La storia di Gianluca è costellata di campi seminati senza aspettative di raccolto a breve termine, di “no” ricevuti che, grazie alla tenacia, si trasformano in “sì”. Come nel caso del suo primo libro: Ovunque. Esplorazioni cromatiche del mondo queer, realizzato a quattro mani con Barbara Orlandini, del quale Gianluca ha curato interamente le illustrazioni. «Io e Barbara in quei mesi eravamo colleghi, ci incontravamo alla macchina del caffè e ci dicevamo che sarebbe stato bello fare qualcosa insieme. Così abbiamo partecipato a un bando proponendo la nostra idea per un libro, ma non abbiamo avuto riscontro. Allora abbiamo pensato di proporlo alla casa editrice BeccoGiallo, che nel giro di pochissimo tempo ci ha voluti incontrare per parlarne. Non ci sembrava vero».

Ovunque è uscito lo scorso maggio, in concomitanza con la giornata internazionale contro l’omofobia, subito prima del mese dedicato ai pride. «Nel libro raccontiamo al più vasto pubblico possibile, dai ragazzi di quattordici anni ai nonni, il mondo LGBT, queer, arcobaleno. Adesso lo stiamo presentando in giro per l’Italia».

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