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“Le chiavi di casa”, il libro di Angelo Marino. “La prima cosa che si prende per uscire nel mondo, ma danno la sicurezza di tornare in un posto sicuro”

18-02-2021

Di Francesco Di Nuzzo

Il vivere insieme è fatto di gesti concreti. Certo, un abbraccio, una stretta di mano oggi sembrano merce rara. A volte invece sono proprio le piccole cose della vita di tutti i giorni a fare la differenza, come il chiedere “Hai già fatto la spesa?” o “Ti sei ricordato le chiavi di casa?”.

Ecco, a Luca Nanni di ricordarsi queste benedette chiavi proprio non sta in testa, con il risultato che spesso e volentieri si ritrova a notte fonda chiuso fuori dall’uscio, senza nessuno a dargli il tiro. Ma glielo si perdona: è giovane. Ha un lavoro, una vita fatta di grigliate sui colli con gli amici, di partite della Virtus al PalaDozza e di giri “in motorino sempre in due…”.

Ma il tempo passa e adesso, oltre a vivere il presente, c’è qualcos’altro nella vita di Luca: un futuro.

Con il suo primo romanzo Le chiavi di casa (Edizioni Pendragon), Angelo Marino riflette sui dubbi e le paure di una paternità annunciata, attraverso la piccola odissea bolognese di Luca Nanni, fatta di liutai filosofi, ragazze sperdute e soggetti ambigui dai pessimi gusti musicali. Una storia molto personale perché Marino ha scritto questo libro proprio quando ha saputo che sarebbe diventato padre.

Per questo quarto ciclo di interviste, incentrate sulle relazioni in tempo di pandemia, abbiamo raggiunto Angelo per parlare delle gioie e dei dolori della convivenza h24 con la propria famiglia, del suo libro e dell’importanza di ricordarsi sempre le chiavi di casa.

Angelo Marino

Durante il lockdown si è passato molto più tempo a casa con i propri cari. Com’è cambiato il rapporto con le tue figlie in questa convivenza e quali difficoltà sono insorte? Come Luca, le hai viste come “una prova” in più da superare?

“Considerando il fatto che per lavoro sono abituato a stare spesso in giro per il mondo è stata decisamente una prova nuova per me. Ho avuto modo di passare più tempo con i miei cari e consolidare il rapporto con le mie bimbe. Se viaggiare è una cosa che mi manca molto d’altra parte pensare che da un anno a questa parte ho dormito tutte le notti a casa con la famiglia è sicuramente un aspetto positivo.

Proprio per il mio essere spesso fuori per lavoro, quando torno a casa cerco di usare il meno possibile il computer e il cellulare. Nel lockdown la cosa più difficile del è stata quella di invertire la modalità ‘papà fuori a lavoro e in casa gioca con noi’ con ‘papà lavora a casa e non possiamo comunque giocarci noi pur avendolo li’”.

 

Nei tuoi profili social affermi che le relazioni sono il tuo punto di forza. Come pensi sia cambiato il modo di viverle a causa della pandemia?

“Stare con le persone è per me fondamentale e adoro coltivare relazioni. Nello specifico del libro, ho avuto riscontro positivi dalle persone a me vicine, ma lanciarlo nel bel mezzo della pandemia mi ha impedito di avere un riscontro a tutto tondo da parte di un pubblico più vasto o da chi non mi conosce. Però mi ha permesso di avere dimostrazione di quanto mi vogliano bene le persone a me vicine.

Più in generale, credo che alla fine si tornerà a un equilibrio. Abbiamo vissuto tutto il pre-Covid vedendo il digitale come un sogno e un obiettivo in tanti ambiti della società, ma per chi vive di empatia e contatto fisico c’è una parte a cui il digitale non potrà mai sostituirsi. Molte cose non torneranno più indietro: penso allo smart working, alle riunioni con i colleghi dall’altra parte del mondo… però alla fine si tornerà ad apprezzare molto di più il contatto fisico e la pacca sulla spalla”.

Com’è nata l’idea di scrivere questo romanzo?

“Principalmente dalla necessità di mettere su carta quello che stavo vivendo in quel periodo, da lì  poi ho sviluppato tutta la storia. Ho sempre avuto la passione per la scrittura e ho sempre scritto, sia diventando giornalista che come copywriter. Ma all’inizio non avevo la finalità ultima di pubblicare un libro: scrivere serviva a me. Poi, considerando la struttura circolare della vicenda, ho pensato che sarebbe stato carino concludere questo percorso con un romanzo che potesse essere anche d’ispirazione per mia figlia”.

 

Pensi che la tua esperienza come copywriter e giornalista abbia influito nel processo di scrittura?

“Sono esperienze simili, ma non così tanto. Quando mi si è palesata la necessità di scrivere questa storia è stato istintivo farlo, ma scrivere un romanzo è diverso dal riportare una notizia. Ho avuto la fortuna di essere affiancato da alcuni editor che mi hanno portato a crescere narrativamente e ad ‘asciugare’ il testo. In questo sì, scrivere un romanzo è simile al lavoro di copywriter!”.

 

Oltre a Luca, protagonista silenziosa del libro è anche un po’ Bologna, e leggendo non si può non notare l’affetto che provi per la città. Come è stato per te ricreare Bologna su carta e in che modo pensi di averla omaggiata?

“Bologna per me è casa. Il luogo nel quale sono cresciuto e nel quale ho attinto per formare i miei gusti musicali, artistici e la mia fede sportiva. Che tutto questo, che Bologna, fosse presente e ricreata nel libro è stato ovvio e naturale. Dalla copertina con lo skyline cittadino fino alle tante citazioni e richiami all’interno del testo.

Come avviene probabilmente a tanti, c’è stata una fase della mia vita nella quale ho trovato la mia città un po’ piccola per i miei progetti e le mie ambizioni ma ora è il posto perfetto nel quale sono contento i miei figli stiamo crescendo. Quando si è trattato di trovare un cognome e un’origine per il protagonista non poteva che essere Nanni e venire da Bologna”.

Angelo Marino

Nel romanzo, una delle caratteristiche principali di Luca è il suo timore per il futuro. Come si può superare questo limbo?

“Una formula non esiste, non l’ho ancora imparata io! Ma se vogliamo, la parte più bella di un viaggio non è la destinazione, ma il viaggio stesso. Spesso i puntini nella vita si uniscono man mano che si va avanti, all’inizio senza capire per bene cosa stia effettivamente accadendo. Rimanendo sul romanzo, ho provato a farlo su tre piani differenti: uno Luca Nanni scrittore, uno Luca Nanni che prende consapevolezza della paternità e per ultimo ho provato ‘giocando’ anche io sulla scrittura stessa. All’inizio c’è frenesia e confusione, verso il finale sono più sintetico e specifico”.

 

Ma, con la nascita di tua figlia, i dubbi e le paure di Luca li hai avuti anche tu.

“Penso che sia un processo comune: si cerca di proiettare quelle che sono le proprie passioni, paure e certezze sul figlio. Nel caso di Luca, lui ha avuto la fortuna di crescere con degli amici storici, quindi si augura che anche la figlia possa incontrare figure positive. Il processo che porta poi a capire questa cosa è accorgersi che comunque un figlio è un’entità diversa da te, e non si potrà mai rivestirla interamente delle proprie passioni o proteggerla da tutti i pericoli. È normale e fa parte della vita.

Da un lato vorresti esserci sempre, ma è giusto che i figli facciano le loro esperienze. È anche un po’ il concetto de ‘Le chiavi di casa’ come titolo del romanzo: sono la prima cosa che si prende quando si esce nel mondo esterno e che allo stesso tempo danno la sicurezza di poter sempre tornare in un posto sicuro”.

 

Quindi sei stato pronto a lasciare che tua figlia dimenticasse le sue chiavi di casa (o magari a ricordargliele)?

“Adesso ovviamente ha quattro anni è tutto più semplice! Le paranoie di Luca sono proiettate verso una figlia ormai grande, ma spero che quando sarà il momento sarò pronto anche io. Te lo saprò dire fra dieci anni!”.

 

A proposito di chiavi, volevo chiederti di commentare una frase del brano di Caparezza, La chiave: “Non è vero che non sei capace, che non c’è una chiave”. Alla fine, pensi che le chiavi di casa tu le abbia trovate o costruite?

“Durante un percorso di trekking in Alaska, ispirato dal libro Into the Wild (al quale sono molto legato), ho deciso di provare a realizzare questo desiderio, per quanto piccolo fosse. Dopo aver messo su carta tutte queste sensazioni sentivo di dover riuscire a pubblicarlo come attestato di concretezza nei confronti di quello che stavo scrivendo. Quindi, direi che mi sono impegnato per trovare questa ‘chiave'”.

 


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